venerdì 16 novembre 2012

Da editoriaraba: L’arte del romanzo nel verbo di Abd al-Rahman Munif (parte 2)


di Rabii El Gamrani

Ed ora: “Gli alberi e l’assassinio di Marzuq"

Non ti commuovere! Stai ascoltando quello che ti dico? Non ti commuovere! E questi ultimi momenti che ti potrebbero lasciare un ricordo o suscitare un’emozione, lasciali perdere. Hai superato tutti gli ostacoli da solo non hai bisogno adesso di vedere negli occhi altrui un compatimento rassegnato. Loro non si curano certo di te, e anche se ti dicessero parole di commiserazione, è a loro stessi che penserebbero in realtà. Gettati tutto alle spalle e, se ci riesci, non guardarti mai indietro.

Così comincia il viaggio lungo e tortuoso di Mansùr Abd-Salàm, così inizia Gli alberi e l’assassinio di Marzuq, ma è un inizio fuorviante, perché nella prima parte del romanzo Mansùr Abd-Salàm serve solo da spalla alla narrazione di un altro personaggio che per puro caso si trova a viaggiare sullo stesso treno. 
E’ un viaggio breve e al tempo stesso lungo quanto basta per “ascoltare” le récit de vie di Elyas Nakhla, personaggio sisifeo che in un continuo e infinito inizio è condannato, come l’eroe greco, a sollevare il suo destino dagli inferi alla cima del monte per vederlo rotolare di nuovo verso il basso. La sua è un’odissea straordinaria che trasporta il lettore fra una moltitudine di paesaggi, di mestieri e di sensazioni contraddittorie.
Tutto prende inizio nel villaggio di Tayyiba, dove Elyas accudisce i suoi amati alberi che presto perderà per ritrovarsi condannato ad una maledetta peregrinazione e perfino quando trova l’amore, grazie al suo compagno di viaggio, l’asinello Sultan, il destino gli è avverso ed è costretto ad iniziare daccapo. Vagabondaggio, fatica, morte e un impossibile quanto legittimo desiderio di una vita normale e dignitosa, sono questi i dilemmi che Elyas affronta, ed è lui stesso a dire: “ Vivere…già il solo vivere, amico mio è un atto di coraggio, sì la vita è un atto di eroismo, ma senza strepiti. Un piccolo atto eroico che l’uomo compie quotidianamente per poter restare sincero e onesto”. 
Elyas è un antieroe irrequieto ed iracondo che, mentre sorseggia l’Arak, una bevanda diffusa in Mesopotamia, insieme all’estemporaneo compagno di viaggio, distilla goccia a goccia il racconto di una vita segnata dal dolore e attorniata da un alone di romanticismo che porta il lettore ad adottarlo, ad appassionarsi alle sue vicissitudini, a sentire il dolore di quella ferita che si è inferto quando ha perso l’amore della sua vita. Viene perfino voglia di difenderlo contro i malvagi doganieri che lo aspettano alla stazione dove le strade di Elyas e Mansùr si divideranno. 
Munif, con la maestria di un grande narratore, crea un universo espressivo e psicologico che coagula brillantemente l’imperativo di raccontare le peripezie di un uomo normale all’indagine della psiche di quel cristiano arabo che è condannato ad un eterno conflitto con se stesso e con il mondo che lo circonda. Nella sua evocazione, Elyas esprime perfettamente quella infelicità che lo accumuna a Mansùr Abd-Salam, perciò, sollecitato da quest’ultimo, la sua memoria viaggia verso quella che è stata la sua vita. Ed è un’ evocazione che assume il gusto di una voluttà masochista, Elyas non fugge al suo passato continuando tuttavia ad appartenere al suo presente.
Presente e passato che invece Mansùr Abd-Salam cerca vanamente di rinnegare, come rinnegherà Elyas stesso quando quest’ultimo scende nell’ultima stazione prima di varcare i confini. 
Lui varcherà quei maledetti confini fuggendo dal suo paese dove le porte di ogni possibilità di vita dignitosa gli sono state sbarrate. Egli è l’archetipo dell’intellettuale e dissidente arabo in fuga da un regime che si sente minacciato da chiunque abbia un’idea diversa di intendere la vita. Mansùr è un professore di storia che è stato cacciato dall’università per via delle sue idee politiche, e dopo anni di attesa e di disoccupazione fugge verso il paese confinante per lavorare come interprete per conto di un’equipe di archeologi francesi. Contrariamente ad Elyas che ha avuto almeno la consolazione di essere ascoltato, Mansùr dovrà raccontare la sua storia senza una spalla che lo inciti a tessere i fili del racconto, e la sua non sarà solo una narrazione orale. 
Davanti all’impossibilità di ogni riconciliazione con il suo passato travagliato, fatto di prigione, persecuzione, e fallimentari tentativi di ribellione contro l’assolutismo e la sopraffazione di uno Stato tiranno e contro una società bigotta e pigra, Mansùr è costretto a partire, ma la sua partenza è solamente uno spostamento fisico verso il deserto rovente e selvaggio, la sua mente invece rimarrà ossessionata da quelle ragioni che l’hanno spinto all’esilio, e la sentenza nei confronti di se stesso è senza appello: “Un vecchio gallo spennacchiato e rognoso, un fallito, ecco cosa sei, Mansùr!”. 
Il fallimento di Mansùr non è solo determinato dalla sua “fuga” e quindi da un agire di cui non può essere soddisfatto, il fallimento è causato soprattutto dalla sua impotenza di agire, di incidere su una società che gli gira le spalle e lo condanna alla follia. 
Quando dico che l’approdo di Munif alla scrittura segna la nascita di un innovatore della narrativa araba, il mio non è campanilismo dovuto alla passione che ho per questo scrittore, ma è un dato di fatto. L’autore di Storia di una città (3) è stato senza dubbio il primo scrittore arabo ad ingaggiarsi in una serie di esperimenti fino ad allora poco esplorati dagli autori arabi, ed è a torto che la critica, anche quella italiana, si è concentrata troppo sulle tematiche politiche e sociali nella sua narrativa, confinandolo nello spazio assai ridotto, per uno scrittore della sua statura, “dell’autore politicamente impegnato”. 
Le intenzioni creative e innovatrici di Munif si annunciano da subito attraverso una moltitudine di tecniche narrative riscontrabili in tutte le sue opere. Di fatto, Gli alberi e l’assassinio di Marzuq non è solo il suo romanza d’esordio, bensì è una dichiarazione di intenti di quello che sarà il suo progetto di scrittura dal punto di vista stilistico e linguistico, e di riscrittura dal punto di vista storico e politico.
Il “paratesto” ad esempio è una di queste strutture che Munif ha introdotto per primo nel romanzo arabo, il diario che Mansàr Abd-Salam lascia come testimonianza, e che l’autore ha posizionato nelle ultime pagine del romanzo, serve non solo a dare una chiave di lettura originale della storia, ma anche ad arricchire il testo di tecniche narrative nuove. Munif ricorrerà al paratesto in numerosi suoi romanzi fra cui All’est del mediterraneo (4) e Ending (5), ed è un esperimento azzeccatissimo che aprirà le porte a tanti altri autori per affrancarsi sempre di più da quella struttura rigida e classicista nel quale il romanzo arabo si era impantanato. 
Un’altra innovazione portata da Munif è la molteplicità dei narratori. A manovrare i fili del racconto in Gli alberi e l’assassino di Marzuq non è un unico narratore onnisciente, ma diversi ed abili narratori che si alternano senza tuttavia spezzare il canovaccio, bensì lo sviluppano, lo arricchiscono e lo aprono su orizzonti nuovi che un unico narratore non sarebbe capace di tessere. La maestria dell’autore e la sua capacità di fare della storia una specie di lavorazione alla filigrana ben intrecciata fa sì che la narrazione fili fluida ed elegante. 
Munif mette a dura prova non solo i suoi lettori, ma anche i suoi traduttori, perché nel forgiare le sue storie e i suoi personaggi realizza un’adesione perfetta fra l’universo psichico e il registro linguistico nel quale attinge. Ho letto i suoi testi, oltre che in arabo ovviamente, in francese, in inglese e in italiano e ho sempre avuto la netta sensazione che qualcosa per strada si perda, non per colpa dei traduttori, ma perché il linguaggio munifiano è difficilmente trasportabile in un’altra lingua. La ricchezza del vocabolario del nostro autore affonda le sue radici in quella tradizione orale e linguistica che si estende dall’Eufrate fino all’Atlantico, e Munif amalgama brillantemente tutto questo patrimonio, dando alla luce un linguaggio nuovo e moderno che s’inoltra in campi semantici che mai prima di lui sono stati esplorati come la zoologia, la botanica e la geopolitica.
La coerenza di Munif nel considerarsi un arabo tout court si riflette anche nelle sue ambientazioni geografiche, i personaggi munifiani si muovono in uno spazio non ben identificato, ma chiaramente identificabile in quanto mondo arabo nella sua assoluta vastità dalle sponde del Mediterraneo fino alla Mesopotamia, dove la narrativa realizza ciò che la politica non è stata in grado di realizzare, ovverossia una grande nazione araba unita.
Rimane un solo interrogativo: chi è Marzuq? Per saperlo dovete leggere Gli alberi e l’assassinio di Marzuq.

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