lunedì 1 aprile 2013

Reportage dall'Africa


“Se tutta l’Africa”

di Ryszard Kapuscinski

 
L’Africa dalla parte di chi l’ha vissuta, ascolta, capita, sofferta intuendo quello che sarebbe diventata, senza nessun intento predittorio. E’ per questo che dopo quarant’anni il viaggio di Ryszard Kapuscinski resta attuale, in un modo spiazzante. Per me che non conosco, è vero, la storia dell’Africa di quegli anni è stato un percorso illuminante nel quale trovo specchiata l’Africa di oggi, quegli spicchi che ho intravisto. E leggendo e rileggendo alcuni passaggi ma ho sentito qualcosa di stanco, di démodé, di superato. E’ vero, dal 1966 la popolazione africana è triplicata e molti stati hanno mosso passi significativi, ma le linee tracciate dal grande reporter polacco sono sempre valide, a mio sommesso avviso. Il testo nasce dalla selezione di una serie di reportage pubblicati sulla rivista polacca “Polityka”tra il 1962 e il 1966 e raccontano il terremoto dell’Africa nella fase di decolonizzazione, lo smembramento e la fondazione della cosiddetta Africa moderna. La narrazione copre gli anni dal 1955 al 1966, con il culmine della cosiddetta rivoluzione africana nel 1960, partendo dal primo stato che raggiunge l’indipendenza, la Libia; alla tappa del 1956 con la proclamazione dell’indipendenza del Sudan, della Tunisia e del Marocco; fino al 1964 quando diventano indipendenti Malawa e Zambia. Sono approfondimenti con una forza didattica superiore ad altri testi, una lectio magistralis, che in Kapuscinski non ha mail sapore accademico quanto la giusta distanza di chi è ad un tempo in prima linea come reporter e viaggiatore nell’animo, sull’Africa. Condivido pienamente la sua definizione che parla di Africa come di un concetto di comodo, per connotarla dal punto di vista geografico anche se, come afferma nella stessa prefazione di “Ebano”, l’Africa di per sé non esiste. Troppo grande e troppo composita per essere considerata un tutt’uno e in effetti la lotta, la rivoluzione africana, contro il colonialismo per un’unità africana è sostanzialmente fallita. L’anatomia del continente sfata molti miti comuni, come quella di continente nero quando solo il 60% della sua popolazione è di colore. Con la naturalezza del narratore che della cultura africana ha assorbito la sensorialità e l’oralità, l’autore fissa alcuni concetti essenziali con una grande densità di questo enorme mondo ai più sconosciuto e guardato come una realtà indefinita quanto falsamente uniforme. Tra l’altro l’Africa era più nota prima della decolonizzazione: per la Francia e l’Inghilterra in particolare faceva parte della loro storia e i figli bianchi africani studiavano quasi tutti all’estero, assorbendo la cultura internazionale e il linguaggio della propaganda della madre patria. Poi i mezzi di comunicazione hanno fatto grandi progressi e paradossalmente l’Africa è gradualmente scomparsa dalla ‘nostra’ informazione. L’Africa è quel grande mondo agricolo, seppur incapace di trarre dall’agricoltura il vero profitto, avendo scelto il modello estensivo; ricco di materie prime delle quali rifornisce il mondo eppure debitore e dipendente dal commercio estero. Continente enorme e poco popolato con la popolazione sparsa in villaggi, disorganizzati e incapaci di diventare una forza politica. E’ il modello della tribù e della rivalità tra i popoli e le etnie, le migliaia di lingue all’origine dell’arretratezza africana che tuttora persiste. Emblematico a riguardo il caso della Nigeria dove le regioni sono rappresentate da 4 diverse popolazioni, le più importanti delle quali gli hausa – musulmani – gli ibo – cristiani – e gli yoruba – metà cristiani e metà musulmani – introduce alla storia tragica dei nostri giorni quando troppo facilmente si stigmatizza l’acrimonia tra musulmani e cristiani come guerra di religione. Troppo lungo e riduttivo sarebbe addentrarsi in modo sintetico nei tanti argomenti dell’analisi di quegli anni cruciali per l’Africa sui quali si è scritto molto e poi più nulla e ci restano concetti vaghi e deformati. Splendido il passaggio su parallelismo e differenze tra la rivoluzione asiatica che ha portato l’India all’indipendenza nel 1947 e di lì agli anni Sessanta del XX secolo tutti gli stati all’indipendenza e quella africana dove le differenze superano i banali e frettolosi accostamenti. Una cosa ci resta delle storie e della storia: l’Africa sarebbe dovuta o voluta tornare agli africani. Così non è stato. Non c’è controprova ma l’influenza mediatica, economica e politica dello scenario internazionale continua a pesare e sta soffocando anche gli ultimi venti rivoluzionari. Purtroppo continuiamo a leggerla con le categorie delle ex madrepatria dove gli operai sono quelli dell’industria e possibilmente della grande industria ad esempio. E l’Africa ci sorprende e ci spiazza.

“Se tutta l’Africa”

di Ryszard Kapuscinski

Narratori Feltrinelli

Euro 16,00

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