giovedì 14 novembre 2013

Editoriaraba - Elias Khoury: “Benvenuti a Beirut”


Su SiriaLibano di lunedì  scorso è stata pubblicata la traduzione del discorso che il grande scrittore libanese Elias Khoury ha pronunciato in occasione dell’inaugurazione della Casa internazionale degli scrittori, avvenuta durante la Fiera del libro francofono di Beirut che si è conclusa qualche giorno fa. Editoriaraba lo ripropone visto che tra l’altro il suo ultimo romanzo è in corso di traduzione in italiano.

(di Elias Khury per al Quds al arabi. Traduzione dall’arabo di Khouzama Reda)

Oggi ci incontriamo per inaugurare la fondazione della “Casa internazionale degli scrittori” a Beirut. Avrei preferito che quest’incontro si tenesse in un campo per i profughi siriani in Libano, anziché in questo bel posto, costruito sul bordo di un cumulo di macerie della nostra antica città, sepolto nel fondo del mare.
Ma lo stato libanese non vuole ammettere l’esistenza del problema dei profughi siriani il cui numero ha ormai superato il milione. Questa è una questione complicata, e questi non sono né l’occasione né il momento per approfondirla, perché si aprirebbero le porte dell’inferno libanese che rischia di deflagrare in qualsiasi momento.
Ho detto che avrei preferito andare in un campo per i profughi siriani che non esiste, non perché voglio mescolare le cose. Io credo che la letteratura non sia semplicemente specchio della realtà: essa esprime i diversi elementi della realtà, perché è lo specchio dell’animo umano, lo specchio delle domande, uno specchio nato frammentato nel fango, nelle follie e nelle sofferenze della storia.
Ho detto che avrei preferito il campo, perché penso che la “Casa degli scrittori” non possa erigersi se non in uno spazio senza confini. È una casa senza finestre e senza porte, una casa senza tetto, che ha solo le parole. È per questo che assomiglia oggi alle case dei siriani, alle loro anime vagabonde, al loro sogno di democrazia che il regime tirannico ha trasformato in un incubo di morte, di oppressione e di tormento.

Ci saremmo anche potuti incontrare in un campo profughi palestinese a Beirut, ma le condizioni di questi campi sono difficili. I loro lunghi assedi avvenuti in seguito a massacri brutali, rendono il campo palestinese un luogo impossibile. La nostra vicinanza a questi campi, però, ci fa sentire il rumore strisciante del dolore che si sprigiona da una Nakba continua, i cui primi capitoli sono iniziati nel 1948 e che oggi continua nelle case demolite ogni giorno in Palestina e nell’occupazione israeliana divenuta una malattia incurabile.
Come vedete, signore e signori, quando vi invitiamo a Beirut, non vi invitiamo in un rifugio della scrittura, con la sua idea dell’isolamento eterno dello scrittore, isolamento che gli consente di allontanarsi dal mondo per interrogare il silenzio delle parole. Beirut, che vive la sua rovina a contatto con due grandi tragedie che la circondano da ogni parte, non è un posto adatto a una casa come questa.
Beirut vi invita in una casa che vive la distruzione al ritmo di due tragedie: la tragedia del Levante arabo, con la tirannia che ha prodotto questo enorme dolore siriano; e la sua stessa tragedia, con l’occupazione israeliana che vuole trasformare le leggende in storia, impastata nel sangue della vittima palestinese.
È lunga e complicata la nostra storia con la tirannia. I regimi militari-mafiosi sono riusciti a distruggere la società per più di quarant’anni. Per questo le rivolte popolari arabe sono arrivate spontaneamente e senza quadri organizzativi, e così si spiegano i percorsi complicati delle rivoluzioni nei nostri Paesi.
Chi aspettava lo spuntare dell’alba della democrazia nel volgere di una notte è rimasto deluso amaramente. E chi invece pensava che l’Occidente coloniale sarebbe corso a soccorrere i popoli in difesa della democrazia, ha dimenticato o ha voluto dimenticare che il passato coloniale non è ancora passato, e che i valori della politica internazionale non sono che una copertura della dominazione.
Naturalmente tutto questo non giustifica il fallimento evidente delle élite democratiche arabe che non hanno saputo guidare il processo di cambiamento. Alla fine era questa la loro responsabilità e avrebbero dovuto escogitare nuove forme di lotta prima che il cambiamento sprofondasse nel buio di nuove forme di tirannia. La lettura completa è su SiriaLibano.

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