lunedì 24 febbraio 2014

Editoriaraba - Vergogna, amore e morte in “Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città” di Khaled Khalifa

Asmaa Abdallah su Arabic Literature in English, 07/02/2014

Traduzione dall'inglese di Elisa Maria Ricco. 

Descrivendo la condizione della sua Siria in una recente intervista, lo scrittore siriano Khaled Khalifa ha dichiarato: “Tremo di tristezza per la vita che è stata e che non c’è più”. È su questa nostalgia e sul senso di perdita che si basa il suo ultimo romanzoNon ci sono coltelli nelle cucine di questa città. L’opera ha meritatamente vinto il premio Naguib Mahfouz Medal ed è anche tra i finalisti in gara per il premio IPAF 2014 e non sorprende che con la sua potente, macabra e paralizzante rappresentazione di un’Aleppo devastata e in declino, il romanzo abbia lo stesso effetto di far tremare di tristezza il lettore.

Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città narra la storia di una normale famiglia siriana che prova a sopravvivere all’indomani del colpo di stato Baathista degli anni Sessanta, che segna l’inizio del loro ingresso nella disperazione. La data coincide altresì con il compleanno del narratore che rimane anonimo e il cui unico obiettivo nella vita, lo stesso del romanzo, è mostrarsi come mero testimone della decadenza della città e della famiglia, ricordando talvolta al lettore che nemmeno lui potrà sottrarsi al medesimo destino.

Il linguaggio utilizzato da Khalifa è carico di disperazione e di forza semantica. Ogni cosa nel romanzo rimanda alla decadenza, alla caducità, alla morte. I personaggi sono oscuri e depressi, privi di aiuto e di speranza. Le loro urla gridano dolore e di disgusto. La descrizione di Khalifa mette in luce, o meglio raffigura, l’immagine della morte colpendo l’anima del lettore. Mentre leggevo il libro, potevo vedere lo sporco sul terreno, a fatica sfuggivo dalle mani dei persecutori nelle vie della città, sentivo l’odore di decomposizione dei corpi malati che attendono la morte, e vedevo soffocare i personaggi principali per la mancanza di ossigeno, da loro invocata incessantemente.

Il romanzo solleva degli interrogativi su cosa accade nel momento in cui il luogo che viene chiamato casa perde ogni tratto di riconoscimento. Quando il suo fascino, il suo calore e i suoi profumi vengono sostituiti dalla bruttezza, dallo squallore e da un disgustoso lezzo, che fare?

Che fare quando le ottimistiche aspirazioni di una vita agiata vengono sostituite da una collettiva discesa nella povertà, quando i sogni di uno splendore futuro cedono il posto ad illusioni di martirio, quando i ricordi soffocano i sogni ancora prima della loro nascita? Che fare quando la bellezza e la gioventù appassiscono fino alla loro completa scomparsa?

La profonda analisi sulle violenze psicologiche e fisiche inflitte sulla popolazione siriana a seguito del colpo di stato è legata all’attivismo contro il regime di Assad che contraddistingue Khalifa. Il romanzo non raggiunge mai il momento in cui scoppia la rivoluzione sebbene gran parte sia stato scritto durante la rivolta siriana. Il fatto di uscire ora può anche essere visto come un modo per ricordare il motivo per cui la rivoluzione è stata qualcosa di necessario ed inevitabile nonostante abbia provocato decine di migliaia di morti e milioni di rifugiati. Tuttavia, grazie all’opera di Khalifa impariamo che l’unica cosa peggiore del sentirsi esiliato in un’altra città, è il sentirsi persi nella propria. L’unica cosa peggiore della morte è una vita che è un mero travestimento della morte o, come uno dei suoi personaggi afferma “è assurdo avanzare nella morte facendola sinonimo di vita”.

Il tema della morte è al centro di questo romanzo, una morte in senso metaforico e letterale, la morte delle persone e della città. In effetti Aleppo, città natale di Khalifa, può essere vista come l’eroina principale del romanzo. Non solo è il centro attorno al quale ruotano tutti i personaggi e dal quale provano a fuggire per poi tornarvi con desiderio e odio: tutto che accade alla città succede agli stessi personaggi. Per mettere in luce questo parallelismo, Boulos, uno dei personaggi secondari di Khalifa, racconta alla sua fidanzata che “Le città, come le persone, muoiono”. E come le persone, anche la città prima di morire invecchia e perde la sua vitalità. Si deteriora e si sgretola, perde la sua bellezza come i personaggi femminili del romanzo, la cui giovinezza viene sprecata nell’attesa.

Ed è proprio allora che ben si adatta la scelta di Jean, il personaggio principale, di tradurre l’opera di T.S. Eliot La terra desolata per meglio raffigurare l’ambiente circostante. Questa non è però l’unica Aleppo che viene presentata nel romanzo di Khalifa: accanto a queste immagini viene descritta l’incantevole città di un tempo, che ormai esiste solo nella memoria collettiva dei suoi abitanti.

La nostalgia è uno dei mezzi attraverso il quale i personaggi di Khalifa sfuggono alle loro tragiche vite. In alternativa alcuni personaggi entrano a far parte di quelle forze che hanno portato alla rovina la città e le loro vite. La giovane fervente Sawsan diventa una zelante sostenitrice del regime, e arriva a provare piacere nel terrorizzare i suoi compagni e vicini minacciandoli e diffondendo informazioni contro di essi. Nel corso del romanzo suo fratello, il fragile musicista Rashid, si unirà alle forze di opposizione, gli islamisti, abbandonando le sue attività artistiche per abbracciare il radicalismo e il martirio nell’inutile ricerca di un significato per la sua vita. I due personaggi non trovano né conforto né vengono ricompensati per i loro sforzi, entrambi torneranno nella loro Aleppo carichi di un senso di vergogna che li perseguiterà per molto tempo. La loro sconfitta lascia il lettore agonizzante ma con un senso di empatia per i simpatizzanti di entrambe le fazioni che vengono lasciati senza altre soluzioni.

Sebbene legato a ragioni diverse tra loro, il senso di vergogna che perseguita Sawsan e Rashid è un sentimento che pervade anche tutti gli altri personaggi del romanzo. Jean, il maestro di Sawsan, si vergogna del consenso dei suoi colleghi nei confronti del regime e del loro “danzare” al ritmo della musica del regime. La madre prova vergogna nell’avere dato alla luce una figlia affetta da problemi mentali che minaccia l’immagine di una casa perfetta e pulita, e si vergogna della famiglia di suo marito e del loro stile di vita provinciale. Lo zio Nezar prova vergogna per la sua omosessualità che è fonte di imbarazzo per i membri della sua famiglia.

E poiché nulla può essere fatto per alleviare il senso di vergogna o inettitudine e poter continuare a vivere, la maggior parte dei personaggi si limita ad attendere la morte che si rivela essere più irraggiungibile delle attese. A dispetto delle previsioni dei medici e delle speranze della madre, il flebile e disabile Soad non muore. La stessa madre non muore, sebbene il suo corpo e la sua mente l’abbiano abbandonata da anni e questo non accade nemmeno alla madre di Jean, la cui malattia fa pensare a una morte imminente.

Questa non è la tragedia di una singola famiglia bensì di un’intera nazione. Il senso di sconfitta e disfunzionalità è forte in tutta la popolazione siriana ed è la diretta conseguenza di un contesto politico e del declino di una città. In effetti, sentiamo di almeno due famiglie che hanno incontrato un destino peggiore di quello che ha investito le famiglie principali nel romanzo di Khalifa. C’è un uomo che brucia sua moglie e i suoi bambini prima di pugnalarsi utilizzando il coltello da cucina, immaginandosi la mancanza di coltelli sufficienti per uccidersi con onore piuttosto che condurre tali miserabili vite, vicenda da cui è tratto il titolo del romanzo. L’altra è la famiglia di un collega del narratore che uccide sua moglie disgustato dalle loro vite. Vergogna e sconfitta costituiscono una pesante eredità per le famiglie siriane.

Niente interrompe l’ossessione per la morte che connota l’opera di Khalifa. Nemmeno alla gioia di Sawsan, che Khalifa descrive come gioiosa, energica e dallo spirito libero, è concesso di penetrare nello spirito del testo. Le immagini sono troppo ossessive, vivide e il tormento dei personaggi è contagioso e persistente.

Ciò che filtra tra le minuscole crepe del declino è la ricerca di amore e la speranza che questa genera. Non c’è una sola storia in Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città che non abbia fallito miseramente. Coloro che aspirano al fallimento non lo trovano e soffrono numerose perdite che incidono su di loro fisicamente e psicologicamente. Tuttavia sono questi i personaggi che ardiscono alla ricerca dell’amore in tali disperate circostanze, sono loro che si sono rifiutati di soccombere nonostante le loro perdite e hanno lottato e resistito piuttosto che limitarsi ad attendere l’arrivo della morte.

Come Khalifa ha dichiarato in una recente intervista: “Vivo ogni giorno come se fosse l’ultimo e provo a divertirmi con chiunque sia rimasto in città e con ogni mezzo di piacere rimasto”.

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