martedì 10 giugno 2014

Jón Kalman Stefánsson, "Il cuore dell’uomo"

di Marisa Cecchetti

“Due uomini urlanti che precipitano a tutta velocità sul fianco vertiginoso di una montagna, attraverso la notte, attraverso la tormenta. Due uomini urlanti che sbattono infine con violenza contro una superficie dura. Prima Jens. L’attimo dopo il ragazzo, a mezzo metro dal postino. E il mondo si spegne”.

Si era chiuso così il secondo romanzo della trilogia di Stefánsson, La tristezza degli angeli, che aveva fatto seguito a Paradiso e inferno. Il lettore si chiede se davvero debba morire il ragazzo, “quella ferita aperta nell’esistenza”, già sopravvissuto all’amico morto in mare per aver dimenticato, a causa di un libro di Milton,  la cerata che lo doveva proteggere dal congelamento. Per il ragazzo che ha trovato accoglienza alla locanda della vedova Geirprúður, dove lui fa il lettore per il vecchio capitano cieco Kolbeim, il destino deve serbare senz’altro qualcosa di meglio.
Il cuore dell’uomo arriva a riportarcelo in vita.  Quando una ragazza dai capelli rossi lo bacia, lui non sa in quale dimensione si trovi, del resto nelle allucinazioni della lunga traversata fatta a fianco del postino Jens in mezzo alle neve ed ai ghiacci, lui si era abituato a parlare coi morti. Così  il lettore si lascia di nuovo trascinare dalla magia narrativa di  Stefánsson, nella sua pluralità  di soggetti narranti, nel fascino senza tempo di un’Islanda lontana, ambiente di solitudini infinite, tra villaggi isolati di pescatori che non hanno mai imparato a  nuotare,  dove ogni giorno è una conquista: “Non c’è mai modo di sapere che direzione prenderà la vita, non sappiamo chi sopravviverà alla giornata e chi soccomberà…basta un attimo di disattenzione, ti dimentichi di guardare a destra e sei morto”.

Non c’è confine  tra la vita e la morte nei romanzi di Stefánsson, del resto i morti annegati non sono sprofondati nella terra né saliti al cielo, vagano inquieti in mezzo ai vivi e ne  raccontano le storie. Ma il richiamo della vita è fortissimo in questo luogo abituato alle tenebre, soprattutto quando arriva l’estate breve e fa diventare la neve un pantano e sparge una luce infinita sui giorni e le notti. Il disgelo porta un’alacrità nuova in tutto il villaggio, dove ognuno lavora come una saggia formica prima che si allunghi di nuovo la notte: “La vita è complicata, ma è comunque più semplice della morte…E’ importante saperlo, non si può vivere solo perché non si è morti, è un tradimento. Bisogna vivere come le stelle, e splendere…Se viviamo come possiamo, e magari anche un po’ meglio, la morte non vincerà mai”.
Tuttavia le navi che arrivano in porto, gli scambi commerciali, non hanno modificato in meglio una società maschilista, moralista  e ipocritamente puritana, che male accetta la presenza della vedova Geirprúður negli affari. Si definisce in tutte le sue sfumature il microcosmo che abbiamo conosciuto fin dall’inizio della trilogia,  dove amore, passione, affettività, invidia, violenza, pregiudizio, istintualità, eros, si intrecciano, creando figure indelebili.

Ilaria Guidantoni con Marisa Cecchetti
e il professor Luciano Luciani
alla libreria Baroni di Lucca, 12 aprile 2013
La parola di cui il ragazzo è  simbolo - lui legge, lui scrive lettere per gli altri, lui ama la poesia -  è uno strumento che getta ponti, è la base della crescita, della costruzione di rapporti umani e di ricerca di libertà. E come lui, ama la poesia il vecchio capitano, che si porta Il Paradiso perduto di Milton fino nell’ultimo viaggio. E’ fondamentale alimentare il sogno.
In un contesto così difficile, che si allarga a simboleggiare l’universale fatica dell’esistere, accanto/insieme alla poesia sta l’amore: “Questo maledetto mondo è vivibile finché mi ami”.  Ma  “il cuore dell’uomo è diviso in due parti, non è tutto d’un pezzo”. Per esempio “una delle cavità del cuore del ragazzo odia Jens, l’altra gli vuole così bene che per poco non si mette a piangere, hanno attraversato insieme l’inferno e la fine del mondo”.
E’ diviso in due perché in una parte del cuore è rimasta la ragazza dai capelli rossi e dagli occhi verdi  -ma forse ama Jens?- anche se accanto a lei lo aspetta una vita di miseria,  nell’altra parte c’è la figlia dell’armatore Friðrik, che lo turba, femmina disinibita, abituata a prendersi tutto, anche l’amore:  “Perché Ragneheiður l’ha salutato? Vorrei che fosse nuda sotto quel vestito giallo, no, in realtà non lo vorrei, cioè sì, oppure no, ma Dio mio santissimo come sono rossi i capelli di Alfheiður! Resterei a guardarli fino all’esaurimento, se potessi”.
Il ragazzo sceglie la autenticità dei sentimenti e va incontro alla ragazza dai capelli rossi remando in una barchetta, nel mare d’agosto sotto una pioggia forte. Accanto a lui c’è il vecchio Kolbeim, che sul mare in tempesta si alza sul bordo della imbarcazione oscillante.  Ragneheiður vede la barca in pericolo - sulla spiaggetta lei aspetta ogni giorno che il ragazzo ritorni - e porta soccorso, come può. Amore e morte si uniscono  ancora una volta, come nella più grande letteratura.


Jón Kalman Stefánsson
Il cuore dell’uomo
Iperborea 2014
pag. 464
€ 18,50
traduzione di Silvia Cosimini


Nessun commento:

Posta un commento