mercoledì 26 febbraio 2014

Emna Bel Haj Yahia, «Questions à mon pays»

Samedi 1er Mars, à partir de 17h, Emna Bel Haj Yahia se fera un plaisir de répondre à vos questions à propos de «Questions à mon pays», qui vient de paraître aux Editions Déméter.

La présentation sera assurée par la professeure Rabââ ben Achour.

Librairie Espace d’Art Mille Feuilles
99, Av. Habib Bourguiba
02070 Marsa Plage
Tunisie
www.librairiemillefeuilles.com

“Chiamarlo amore (non) si può” Letteratura e Arti Visive per fermare la violenza sulle donne

Per una settimana Napoli propone ai ragazzi e agli adulti un percorso di riflessione sugli stereotipi di genere e sulla differenza tra amore e non-amore 

La città di Napoli per 7 giorni diventa un crocevia tra letteratura e arti visive, proponendo un percorso di riflessione sulla condizione della donna e sulla violenza di genere. 
Da lunedì 3 marzo a domenica 9 marzo il Palazzo delle Arti, nella centralissima via dei Mille, ospita una mostra che riunisce fotografia, illustrazione, fumetto, pittura e interior design per rappresentare visivamente la realtà della donna oggi, soprattutto nella sua relazione con l’uomo.
Sotto il Patrocinio del Comune di Napoli, le opere esposte sono circa 60 e provengono da tutto il mondo: Francia, USA, Kenya, Cina, Spagna, Olanda, Serbia, Kuwait, Giappone. 
Non si tratta, però, di una semplice mostra, ma di un progetto culturale molto ampio. “Cos’è che distingue l’amore dal non-amore?” è una domanda da cui si partirà per intraprendere un percorso di riflessione sul fenomeno sociale della violenza contro la donna. La settimana sarà caratterizzata da un ricco programma di eventi dedicati alla cultura del “fare educazione”, ovvero all’importanza dell’educazione emozionale e relazionale, soprattutto degli adolescenti.
Ospiti fissi saranno gli studenti di diverse scuole della Campania e del Lazio, che nei locali della mostra parteciperanno ad un seminario di formazione a cura della scrittrice e sociologa Rosa Tiziana Bruno, che è anche ideatrice del progetto. Il seminario e la visita della mostra rappresentano i momenti conclusivi di un percorso di lettura svolto in classe nel mese precedente.
Rosa Tiziana Bruno ha curato personalmente la direzione artistica dell’esposizione ed è anche una delle autrici del libro da cui la mostra riprende il titolo, ovvero l’antologia “Chiamarlo amore non si può” (ed. Mammeonline). Si tratta del primo testo letterario che affronta il tema della violenza contro le donne rivolgendosi anche agli adolescenti. Una raccolta di storie che riporta una dedica speciale del cantautore Edoardo Bennato e che si pone l’obiettivo di accendere riflessioni sul vero significato dell’amore. E proprio a quelle storie le singole opere della mostra sono collegate, seguendo il filo invisibile che unisce parole e immagini.
L’obiettivo del progetto libro/mostra è quello di soffermarsi a riflettere e discutere insieme ai ragazzi sui due opposti “amore e violenza”, toccando temi trasversali quali gli stereotipi, l’identità di genere, la relazione uomo-donna, il controllo sugli istinti e la piena realizzazione di sé, abbracciando diverse discipline che vanno dalla storia alla sociologia, dalla letteratura all’economia, fino all’arte e all’architettura. Grazie alla speciale apparecchiatura Masbooth del Roll Studio, agli studenti sarà dato modo di esprimersi scrivendo frasi e idee personali su fogli bianchi che verranno poi da loro stessi fotografati e condivisi sui social network. Alcune frasi saranno riprese anche dalle pagine web curate da Factoria e da Hubstract, dove i ragazzi hanno condiviso i loro pensieri sull’argomento, nelle settimane precedenti.
Durante tutta la settimana, nei locali della mostra, sono previste performance musicali e canore del coro Daltrocanto e del gruppo CantAbils Ensemble. La cerimonia di chiusura del 9 marzo prevede una performance del gruppo I sogni di Ornide che proporrà un percorso di provocazione emozionale e musiche. Saranno anche presenti i gruppi di mobile photography napoletani Igersnapoli, Neapolis_moph e TheMinimals, autori di molte delle fotografie esposte, che organizzeranno per l’occasione una speciale photowalk nelle vie di Napoli, partendo dal Palazzo delle Arti.
L’intero evento è organizzato in collaborazione con l’Assessorato all’Istruzione del Comune di Napoli e in accordo con la consigliera della Pari Opportunità.



martedì 25 febbraio 2014

“Le Paradis des Femmes" di Ali Bécheur

Lunedì, 24 Febbraio 2014 Ilaria Guidantoni

Una delle voci più note della letteratura contemporanea tunisina in lingua francese, Ali Bécheur, un romanziere, saggista e novellista, abita a Tunisi. Di lui avevo già letto “Jours des adieux”, I giorni dell’addio, dove il distacco tra madre e figlio, per una partenza che si sa non avrà ritorno, è centrale.

Le figure femminile e materna sono al centro anche di questo romanzo che forse si potrebbe definire soprattutto un diario intimo. Il romanzo è un inno alle donne, dedicato alla madre che gli ha aperto lo scrigno del Paradiso, delle donne appunto, della quale ricorda l’affetto, i valori morali e l’incantamento dei suoi racconti orientali nella notte. Oummi Khadouja, mia mamma Khadouja appunto, se ne va, ma il dolore per la perdita si stempera in una strana dolcezza di chi ha fino alla fine goduto dell’amore e ne è pieno, senza rimpianti. E’ un inno all’incontro, all’amore che si rinnova e anche alla nostalgia di quell’amore che si affievolisce e nulla può ravvivare, nemmeno il rocambolesco impegno di Juiliette la moglie che si rende conto che il nostro protagonista non l’ama più. C’è il senso della lacerazione, della tensione che è sinonimo di vita e ancor più d’amore, senza rabbia, che è un fatto piuttosto insolito quando si parla di amori feriti. Il libro è un inno all’amore anche nella sua accezione carnale, il cui incontro è la porta e il riflesso ad un tempo dell’anima.
Le descrizioni, ancorché appassionate, sono una sinfonia e danno un senso di evanescenza e respiro sebbene di grande forza e intensità. C’è lo spazio per Luz, un’attrice di passaggio nel suo paese, con il quale nasce un amore, a poco a poco, e sarà l’occasione per una nuova ispirazione, un nuovo libro: il libro della sua vita. Si apre così lo spazio per un grande canto d’amore, al proprio paese e alla propria città, Tunisi, tra ricordi, nostalgia e anche un filo di ironia.

La recensione integrale su Saltinaria.it

Editoriaraba - Gerusalemme oltre le fedi. La città in perenne conflitto raccontata da Paola Caridi

Questa recensione è apparsa ieri su ResetDOC

“Una Terra, due Stati”: questo in sintesi il piano di pace post Oslo su cui palestinesi e israeliani stanno lavorando da più di un anno e le cui principali linee guida sono trapelate in questi giorni in Italia tramite il blog “Invisiblearabs” di Paola Caridi, giornalista e storica, che a questo piano aveva lavorato fino a poco prima di partire da Gerusalemme, e lasciare per sempre la città che l’aveva ospitata per dieci anni.

Nel piano “Una Terra, due Stati” si parla naturalmente anche di Gerusalemme: la Città Tre volte Santa, capitale delle tre religioni abramitiche, ma anche la capitale contesa dello Stato di Israele, mai riconosciuta con questo status dalla diplomazia internazionale, la mitica Al Quds degli arabi, meta preferita di un pellegrinaggio religioso che non conosce crisi. Una città crudele e senza Dio, secondo la definizione data dalla stessa Caridi nel suo ultimo libro, ad essa dedicato: Gerusalemme senza Dio. Ritratto di una città crudele (Feltrinelli, 2013).

Crudele perché le sue “carni” sono impastate delle lacrime dei palestinesi gerosolimitani che nel 1948 avevano abbandonate le loro abitazioni a causa dello scoppio del conflitto pensando di poterci tornare, mentre invece il diritto al ritorno dei palestinesi è ancora oggi un diritto negato. Crudele perché oggi la città ha rinnegato il suo passato di laboratorio della modernità quando, a cavallo tra Ottocento e Novecento, tra la fine dell’Impero Ottomano e l’inizio del mandato britannico, uomini e donne, arabi, ebrei ed internazionali abitavano le sue strade e le sue case di bella pietra bianca senza troppi problemi di convivenza. Crudele perché l’avanzare del cemento, volgare e grossolano, ne ha stravolto i lineamenti di un tempo e alle belle e antiche case di fine Ottocento ha affiancato e imposto casermoni anonimi e grigi, come quelli che dagli anni Sessanta in poi hanno impestato le periferie di tante altre città mediterranee ed europee. E crudele anche perché gli unici luoghi in cui israeliani e palestinesi convivono senza entrare in conflitto sono i non-luoghi della post-modernità: un centro commerciale, un supermercato e una strada di passaggio, in cui le due comunità si sfiorano senza mai davvero toccarsi. E crudele, infine, perché assecondando una logica perversa, ha permesso che sulle tracce del villaggio palestinese di Deir Yassin, teatro di un eccidio immondo in quel 1948 della Nakba per i palestinesi, venisse edificato il centro di igiene mentale della città, Kfar Shaul, il manicomio di Gerusalemme.

C’è tutto questo e molto altro nel libro di Paola Caridi, che racconta la storia moderna e contemporanea di Gerusalemme alternando momenti di estrema dolcezza, come quando ricorda il richiamo dell’adhan, “una melodia dolce che sveglia con grazia” la città; o ci introduce a Michel, palestinese cristiano che nel 1948 abitava nel piccolo e storico quartiere di Musrara da cui era dovuto fuggire, come tanti altri, senza poter tornare mai più, a episodi storici o attuali dove la storica e la giornalista si danno il cambio vicendevolmente senza che la narrazione e degli eventi raccontati perda mai il ritmo.

lunedì 24 febbraio 2014

Editoriaraba - Vergogna, amore e morte in “Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città” di Khaled Khalifa

Asmaa Abdallah su Arabic Literature in English, 07/02/2014

Traduzione dall'inglese di Elisa Maria Ricco. 

Descrivendo la condizione della sua Siria in una recente intervista, lo scrittore siriano Khaled Khalifa ha dichiarato: “Tremo di tristezza per la vita che è stata e che non c’è più”. È su questa nostalgia e sul senso di perdita che si basa il suo ultimo romanzoNon ci sono coltelli nelle cucine di questa città. L’opera ha meritatamente vinto il premio Naguib Mahfouz Medal ed è anche tra i finalisti in gara per il premio IPAF 2014 e non sorprende che con la sua potente, macabra e paralizzante rappresentazione di un’Aleppo devastata e in declino, il romanzo abbia lo stesso effetto di far tremare di tristezza il lettore.

Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città narra la storia di una normale famiglia siriana che prova a sopravvivere all’indomani del colpo di stato Baathista degli anni Sessanta, che segna l’inizio del loro ingresso nella disperazione. La data coincide altresì con il compleanno del narratore che rimane anonimo e il cui unico obiettivo nella vita, lo stesso del romanzo, è mostrarsi come mero testimone della decadenza della città e della famiglia, ricordando talvolta al lettore che nemmeno lui potrà sottrarsi al medesimo destino.

Il linguaggio utilizzato da Khalifa è carico di disperazione e di forza semantica. Ogni cosa nel romanzo rimanda alla decadenza, alla caducità, alla morte. I personaggi sono oscuri e depressi, privi di aiuto e di speranza. Le loro urla gridano dolore e di disgusto. La descrizione di Khalifa mette in luce, o meglio raffigura, l’immagine della morte colpendo l’anima del lettore. Mentre leggevo il libro, potevo vedere lo sporco sul terreno, a fatica sfuggivo dalle mani dei persecutori nelle vie della città, sentivo l’odore di decomposizione dei corpi malati che attendono la morte, e vedevo soffocare i personaggi principali per la mancanza di ossigeno, da loro invocata incessantemente.

Il romanzo solleva degli interrogativi su cosa accade nel momento in cui il luogo che viene chiamato casa perde ogni tratto di riconoscimento. Quando il suo fascino, il suo calore e i suoi profumi vengono sostituiti dalla bruttezza, dallo squallore e da un disgustoso lezzo, che fare?

Che fare quando le ottimistiche aspirazioni di una vita agiata vengono sostituite da una collettiva discesa nella povertà, quando i sogni di uno splendore futuro cedono il posto ad illusioni di martirio, quando i ricordi soffocano i sogni ancora prima della loro nascita? Che fare quando la bellezza e la gioventù appassiscono fino alla loro completa scomparsa?

La profonda analisi sulle violenze psicologiche e fisiche inflitte sulla popolazione siriana a seguito del colpo di stato è legata all’attivismo contro il regime di Assad che contraddistingue Khalifa. Il romanzo non raggiunge mai il momento in cui scoppia la rivoluzione sebbene gran parte sia stato scritto durante la rivolta siriana. Il fatto di uscire ora può anche essere visto come un modo per ricordare il motivo per cui la rivoluzione è stata qualcosa di necessario ed inevitabile nonostante abbia provocato decine di migliaia di morti e milioni di rifugiati. Tuttavia, grazie all’opera di Khalifa impariamo che l’unica cosa peggiore del sentirsi esiliato in un’altra città, è il sentirsi persi nella propria. L’unica cosa peggiore della morte è una vita che è un mero travestimento della morte o, come uno dei suoi personaggi afferma “è assurdo avanzare nella morte facendola sinonimo di vita”.

Il tema della morte è al centro di questo romanzo, una morte in senso metaforico e letterale, la morte delle persone e della città. In effetti Aleppo, città natale di Khalifa, può essere vista come l’eroina principale del romanzo. Non solo è il centro attorno al quale ruotano tutti i personaggi e dal quale provano a fuggire per poi tornarvi con desiderio e odio: tutto che accade alla città succede agli stessi personaggi. Per mettere in luce questo parallelismo, Boulos, uno dei personaggi secondari di Khalifa, racconta alla sua fidanzata che “Le città, come le persone, muoiono”. E come le persone, anche la città prima di morire invecchia e perde la sua vitalità. Si deteriora e si sgretola, perde la sua bellezza come i personaggi femminili del romanzo, la cui giovinezza viene sprecata nell’attesa.

Ed è proprio allora che ben si adatta la scelta di Jean, il personaggio principale, di tradurre l’opera di T.S. Eliot La terra desolata per meglio raffigurare l’ambiente circostante. Questa non è però l’unica Aleppo che viene presentata nel romanzo di Khalifa: accanto a queste immagini viene descritta l’incantevole città di un tempo, che ormai esiste solo nella memoria collettiva dei suoi abitanti.

La nostalgia è uno dei mezzi attraverso il quale i personaggi di Khalifa sfuggono alle loro tragiche vite. In alternativa alcuni personaggi entrano a far parte di quelle forze che hanno portato alla rovina la città e le loro vite. La giovane fervente Sawsan diventa una zelante sostenitrice del regime, e arriva a provare piacere nel terrorizzare i suoi compagni e vicini minacciandoli e diffondendo informazioni contro di essi. Nel corso del romanzo suo fratello, il fragile musicista Rashid, si unirà alle forze di opposizione, gli islamisti, abbandonando le sue attività artistiche per abbracciare il radicalismo e il martirio nell’inutile ricerca di un significato per la sua vita. I due personaggi non trovano né conforto né vengono ricompensati per i loro sforzi, entrambi torneranno nella loro Aleppo carichi di un senso di vergogna che li perseguiterà per molto tempo. La loro sconfitta lascia il lettore agonizzante ma con un senso di empatia per i simpatizzanti di entrambe le fazioni che vengono lasciati senza altre soluzioni.

Sebbene legato a ragioni diverse tra loro, il senso di vergogna che perseguita Sawsan e Rashid è un sentimento che pervade anche tutti gli altri personaggi del romanzo. Jean, il maestro di Sawsan, si vergogna del consenso dei suoi colleghi nei confronti del regime e del loro “danzare” al ritmo della musica del regime. La madre prova vergogna nell’avere dato alla luce una figlia affetta da problemi mentali che minaccia l’immagine di una casa perfetta e pulita, e si vergogna della famiglia di suo marito e del loro stile di vita provinciale. Lo zio Nezar prova vergogna per la sua omosessualità che è fonte di imbarazzo per i membri della sua famiglia.

E poiché nulla può essere fatto per alleviare il senso di vergogna o inettitudine e poter continuare a vivere, la maggior parte dei personaggi si limita ad attendere la morte che si rivela essere più irraggiungibile delle attese. A dispetto delle previsioni dei medici e delle speranze della madre, il flebile e disabile Soad non muore. La stessa madre non muore, sebbene il suo corpo e la sua mente l’abbiano abbandonata da anni e questo non accade nemmeno alla madre di Jean, la cui malattia fa pensare a una morte imminente.

Questa non è la tragedia di una singola famiglia bensì di un’intera nazione. Il senso di sconfitta e disfunzionalità è forte in tutta la popolazione siriana ed è la diretta conseguenza di un contesto politico e del declino di una città. In effetti, sentiamo di almeno due famiglie che hanno incontrato un destino peggiore di quello che ha investito le famiglie principali nel romanzo di Khalifa. C’è un uomo che brucia sua moglie e i suoi bambini prima di pugnalarsi utilizzando il coltello da cucina, immaginandosi la mancanza di coltelli sufficienti per uccidersi con onore piuttosto che condurre tali miserabili vite, vicenda da cui è tratto il titolo del romanzo. L’altra è la famiglia di un collega del narratore che uccide sua moglie disgustato dalle loro vite. Vergogna e sconfitta costituiscono una pesante eredità per le famiglie siriane.

Niente interrompe l’ossessione per la morte che connota l’opera di Khalifa. Nemmeno alla gioia di Sawsan, che Khalifa descrive come gioiosa, energica e dallo spirito libero, è concesso di penetrare nello spirito del testo. Le immagini sono troppo ossessive, vivide e il tormento dei personaggi è contagioso e persistente.

Ciò che filtra tra le minuscole crepe del declino è la ricerca di amore e la speranza che questa genera. Non c’è una sola storia in Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città che non abbia fallito miseramente. Coloro che aspirano al fallimento non lo trovano e soffrono numerose perdite che incidono su di loro fisicamente e psicologicamente. Tuttavia sono questi i personaggi che ardiscono alla ricerca dell’amore in tali disperate circostanze, sono loro che si sono rifiutati di soccombere nonostante le loro perdite e hanno lottato e resistito piuttosto che limitarsi ad attendere l’arrivo della morte.

Come Khalifa ha dichiarato in una recente intervista: “Vivo ogni giorno come se fosse l’ultimo e provo a divertirmi con chiunque sia rimasto in città e con ogni mezzo di piacere rimasto”.

giovedì 20 febbraio 2014

Vendredi 21 Février "Tunisie, l'espoir: Mode d'emploi pour une reprise", Librerie Millefeuilles Tunisi

Tunisi, la Marsa - Librerie Millefeuilles

Vendredi 21 Février, à partir de 17h

Il y aura la présentation de "Tunisie, l'espoir: Mode d'emploi pour une reprise", ouvrage collectif dirigé par Elyes Jouini, paru aux Éditions Cérès

À première vue le tableau est sombre. L’économie tunisienne est aujourd’hui très mal en point. À une politique économique qui a privilégié la rente au profit d’une minorité a succédé une politique du court-terme qui navigue à vue. La situation sociale est inquiétante et le mécontentement est grandissant. La croissance, ralentie et inégalement répartie, est insuffisante. L’Europe est en crise et les moteurs extérieurs de la croissance ont disparu. L’investissement est aussi au plus bas. Les marges de manœuvre s’amenuisent, le déficit s’alourdit, la dette s’amplifie, les prix flambent et le chômage atteint des niveaux historiques.

Et pourtant, l’espoir est permis. Les potentiels sont reconnus et les opportunités sont réelles: la Tunisie peut prétendre au doublement de sa richesse en peu d’années. L’urgence est de réfléchir autrement et de s’engager sans plus tarder. Tout en veillant à rester à la fois, attentif, pragmatique et audacieux, ce livre propose – mieux que des réformes – une véritable mutation : une refonte énergique des choix éducatifs, de la politique fiscale, du système de santé, des dispositifs de solidarité. Et, ayant en but de transformer la Tunisie en une véritable puissance exportatrice régionale, il repense l’offre et la qualité des services, réadapte l’agriculture au client et au climat, remodèle le paysage techno-industriel, reconsidère le territoire.

Elyès Jouini, un homme de science et de terrain, entouré des meilleurs experts dans les domaines en jeu, propose parallèlement à l’incontestable maturité politique de la Tunisie, une régénération de son économie et en fournit le mode d’emploi. Cette nouvelle vision permettrait d’ancrer la Tunisie dans une croissance accélérée, pérenne, équilibrée et dont les fruits seraient redistribués de la manière la plus juste possible.

La révolution a rendu l’impensable possible, il nous reste à rendre possible l’indispensable et le nécessaire.

Le temps est venu.


Cet ouvrage a été élaboré en collaboration avec l’Association IDÉES sous la direction d’Elyès Jouini.

L’ouvrage est le résultat d’un travail collectif coordonné par Moez El Elj les contributeurs sont Lotfi Ben Aissa, Hakim Bécheur, Mehdi Ben Braham, Mohamed Mekki Ben Jemaa, Ali Chebbi, Moez El Elj, Abdel Rahmen El Lahga, Aïda Hamdi, Mohamed Hajaiej, Elyès Jouini, Mohamed Kriaa, Kaouther Latiri, Makram Montacer, Dhafer Saïdane

Editoriaraba - Luci e ombre di un inedito Kahlil Gibran

Questa recensione è apparsa domenica su Osservatorio Iraq – Medio Oriente e Nord Africa

Se c’è un intellettuale arabo che ha oltrepassato i confini del mondo arabo ed è conosciuto e apprezzato a livello internazionale è sicuramente Kahlil Gibran: poeta, filosofo, artista e nazionalista nato nel 1883 nel piccolo villaggio di Bisharri, poco distante da Tripoli, nella regione siro-libanese che allora era solo una delle province dell’Impero Ottomano. Nato Gibran Khalil Gibran, e poi passato alla storia come Kahlil (o Khalil) Gibran, fu l’indimenticato autore del libro Il Profeta che gli diede la fama internazionale che il suo intelletto, a dir la verità, meritava.

Ma si sa, la fama è ingannevole: è così tutta l’opera di Gibran fu inghiottita dalla notorietà che gli diedero le poche righe della sua opera principale, che lo consegnarono ai posteri come un autore-guru le cui citazioni da Il Profeta si trovano ovunque in Internet e, oggi più che mai, nelle pagine di Facebook in cui Gibran è accomunato ad altri scrittori-guru alla stregua di Paolo Coelho.

Peccato che la creatività e la maestria di Gibran non siano certo riducibili alle brevi frasi da social network: a restituire la statura che merita ci ha pensato di recente lo studioso gibranista Francesco Medici, il quale ha raccolto episodi della vita di Gibran poco conosciuti, estratti di lettere da lui scritte, racconti tramandati dalla sua cerchia di amici siro-americani, brani inediti di Gibran e li ha raccordati in questo volume appena uscito per l’Editrice La Scuola: Il profeta e il bambino.

Nei quattro capitoli che compongo il testo viene alla luce il profilo di un Gibran assolutamente inedito e tenero: il primo capitolo racconta alcuni episodi della fanciullezza del poeta fin dalla nascita in un Libano quieto e rurale: “È vero: di notte, in Libano, sembra quasi che le stelle siano appese nel cielo e che penzolino nel vuoto, giù dagli abissi d’azzurro”.

Nato all’interno di una famiglia cristiano-maronita molto agiata, proprietaria di terre, immobili e oggetti preziosi, un padre esattore delle imposte e una madre affascinante e intelligente, Gibran si rivela da subito un bambino curioso, inquieto e dotato di un’intelligenza pronta e sensibile che lo rende diverso dagli altri fratelli. Fin da piccolo è già alle prese con carta e penna, per scrivere poesie o disegnare.

“Ho visto il mare per la prima volta quando avevo otto anni. (…) Non c’era orizzonte e l’acqua era solcata da grandi velieri orientali a vele spiegate. Mentre attraversavamo le montagne, all’improvviso vidi quello che mi sembrò un cielo sconfinato in cui veleggiavano le navi”.

La prima adolescenza del poeta è segnata dalla rovina economica del padre e della famiglia: con la madre e i fratelli Gibran lascia Bisharri e si trasferisce a Boston dove frequenta le scuole e apprende subito l’inglese perfettamente. Frequenta il collegio in Libano e ritorna negli Stati Uniti dove assiste alla malattia e alla morte di metà della sua famiglia di origine, tra cui l’adorata madre, l’unica che riuscisse a intenderlo davvero. A inizio Novecento parte per Parigi dove frequenta l’Académie Julian sotto la guida del maestro Rodin e migliora le sue tecniche pittoriche.

Tornato negli Stati Uniti si trasferisce a New York dove comincia a collaborare con il gruppo di intellettuali siriani d’America di cui facevano parte anche Ameen Rihani e Mikhail Naimy: compone libri, dipinge quadri nel suo studio-ritrovo, scrive articoli e saggi. A causa del contenuto della sua opera Gli spiriti ribelli, in cui incoraggiava i giovani del suo Paese a ribellarsi contro il giogo dell’Impero Ottomano, il libro fu bruciato e il suo autore scomunicato da parte della Chiesa e condannato all’esilio (quando si insedio il governò dei Giovani Turchi l’esilio venne revocato). Nel 1923 pubblicò Il Profeta che ottenne un incredibile successo di pubblico.

Ma Gibran fu un animo inquieto: perennemente immerso nei suoi pensieri, fragile e profondamente critico verso sé stesso. In un brano particolarmente significativo, contenuto non a caso nella prefazione al volume, Mikhail Naimy racconta di quando con altri amici aveva portato Gibran a fare una gita fuori città per distrarlo (era il 1921 e la salute di Gibran non era già delle migliori), e Gibran, pensieroso come sempre, di ritorno da una passeggiata all’aperto esclamò all’amico: “Misha! Sono un falso allarme”.
Un falso allarme, o forse un bluff: chissà cosa passava per la testa di Gibran quel giorno per arrivare a definirsi in modo così spregiativo.

Di certo nessun grande personaggio della storia è rimasto immune ai deliri del cuore o della mente: la fama, e la storia, con i loro pesanti fardelli, non attraversano il cuore dell’uomo senza lasciare un segno indelebile del loro passaggio e Gibran non fu da meno.

Se questo libro ha un merito, tra gli altri, è quello di aver ridimensionato il divario che la notorietà negli anni aveva creato tra l’uomo-Gibran e la mitizzazione del suo personaggio. E di averci restituito l’immagine a tutto tondo di un poeta, intellettuale e artista, che prima di ogni altra cosa era un essere umano, con la propria storia e le proprie inquietudini.

(Chiara Comito)

martedì 18 febbraio 2014

Editoriaraba - Libertà e memoria per la Palestina: mostra di calligrafia araba e presentazione del libro di Jamal Bannura a Roma

Venerdì 21 febbraio 2014 alle ore 18 presso B-Gallery, piazza di Santa Cecilia 16, si terrà l’inaugurazione della mostra di calligrafia araba e miniatura “Shapes of Freedom – Le Forme della Libertà”, di Giulia Giorgi e Nilufar Reza (fino a domenica 23 febbraio).

Alle ore 19 verrà presentato il libro di Jamal Bannura, Per non dimenticare e altri racconti (traduzione di Eugenia Di Gregorio, Roma, Edizioni Q, 2014).

Partecipano: Biancamaria Scarcia Amoretti (Università di Roma Sapienza); Eugenia Di Gregorio (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica); Wasim Dahmash (Università di Cagliari).

“Shapes of Freedom – Le Forme della Libertà” è un progetto espositivo a quattro mani di Giulia Giorgi e Nilufar Reza imperniato sul concetto di libertà e aspira a rappresentarla nei suoi diversi aspetti, dalla libertà di amare a quella di movimento.

Ognuno degli otto pezzi, realizzati attraverso una combinazione delle tecniche di calligrafia araba e di miniature persiane, vuole rappresentare una forma di libertà.
Shapes of Freedom è presentata ufficialmente nell’ambito di Cultura è libertà. Una campagna per la Palestina proprio per sottolineare la gravità della mancanza di libertà in molte parti del mondo.

La mostra rimarrà in esposizione dal 21 al 23 febbraio 2014.

Le sei storie presentate nella raccolta Per non dimenticare e altri racconti compongono una sorta di paradigma di immagini e riferimenti, la cui valenza politica e simbolica è continuamente ridefinita e avvalorata dal lettore, chiamato a rintracciare nel racconto la chiave di lettura del ‘conflitto israelo-palestinese’ e di un presente incerto e drammatico.

Le voci dei personaggi, uomini provati dalle imposizioni e dall’isolamento e donne che si rivelano eccellenti protagoniste di una resistenza che continua nel quotidiano, refrattaria a qualunque forma di concessione, compromesso e cedimento, prevalgono spesso sulla narrazione e contribuiscono al coinvolgimento del lettore, all’attualizzazione degli eventi ‘vissuti’ attraverso le storie raccontate, e a trarne ispirazione per non perdere la speranza in un mondo migliore.
Jamal Bannura,  scrittore di racconti brevi, ha trascorso la vita lavorativa insegnando letteratura araba al liceo di Betlemme, la città vicina a Beit Jala (Beggiala) dove è nato nel 1938 e dove vive tuttora. Alcuni suoi racconti tradotti in italiano si trovano in varie antologie di letteratura araba. Una raccolta intitolata Intifada è stata pubblicata in italiano dal ‘Bollettario’ di Edoardo Sanguineti nel 1992.

(tratto dal comunicato stampa dell’evento)

Presentazione del volume "La Conchiglia" di Mustafa Khalifa - Venerdì 28 febbraio ore 18.00, Società Dante Alighieri, piazza Firenze 27, Roma.


Editoriaraba - “Frankenstein a Baghdad” di Ahmad Saadawi: ovvero di guerra e moralità

Traduzione dell’inglese di Paola Rotolo. Testo originale

Al-Mustafa Najjar ha recensito Frankenstein a Baghdad, di Ahmad Saadawi, in corsa per il Premio Internazionale per la narrativa araba di quest’anno [IPAF - ora rientrato anche nella sestina dei finalisti, N.d.T], definendolo “un romanzo che sospende il giudizio morale”.

Di Al-Mustafa Najjar

“Hai mai visto un pezzo di merda d’oro?” chiede Mahmoud al-Sawadi, un giornalista emergente, a Nawal Al-Wazeer, regista che sta lavorando ad un film sul “male che ci accomuna tutti e che invece affermiamo di combattere”. Non ci aspettiamo una risposta alla domanda retorica di Mahmoud, ma il concetto di ambivalenza attraversa ossessivamente tutto il romanzo di Ahmad Saadawi.
Il relativismo morale è infatti un tema dominante nel romanzo in gara per l’IPAF, che narra la storia di uno straccivendolo “che puzza di alcool”, è “sporco” e “scostante” e che si imbarca in una “nobile” crociata: rovistare per le strade di una Baghdad devastata dalla guerra civile in cerca di organi umani.
Turbato dal fatto che ai corpi smembrati delle vittime degli attacchi suicidi e della violenza settaria a Baghdad non venga mai concessa degna sepoltura, Hadi Al-Attag decide di assemblare letteralmente un cadavere che “invece di essere lasciato in strada ed essere trattato come spazzatura”, possa avere una sepoltura degna di questo nome. Per quanto ben intenzionato, fino all’ultima pagina del romanzo Hadi sarà preda di sentimenti contrastanti nei confronti della situazione “alla Frankenstein” in cui si è cacciato.
Come una sorta di Vaughan, “l’angelo ossessivo delle superstrade” del famigerato Crash di J.G. Ballard (1973), Hadi si aggira come un fantasma per una Baghdad martoriata “in cerca di qualcosa nel mezzo della sagra della distruzione e della rovina”. Una volta trovato quel qualcosa (un naso umano, ci viene detto) brutalmente “lo raccoglie, lo avvolge in una borsa di tela che si ficca sotto il braccio e si allontana velocemente” in direzione della sua bettola nel popoloso quartiere di Al-Bataween.
Un bel giorno di primavera, il cadavere ibrido, ormai completo, si alza e parte per vendicare i proprietari dei suoi organi. Hadi è incapace di accettare la realtà e si auto-convince che “la Cosa” non è altro che un frutto della sua immaginazione; tuttavia, con sorpresa del lettore, Hadi prende l’abitudine di raccontare la sua storia ai malmessi clienti di un caffè di Baghdad. Ed è così che Mahmoud ascolta per la prima volta l’incredibile storia della Cosa, Frankenstein o Criminal X, che di lì a poco terrorizzerà Baghdad: il cadavere vivente e la serie di “strani eventi” avvenuti in città che coinvolgono “criminali che non muoiono anche se colpiti dalle pallottole” vengono raccontati dal giornalista nei suoi articoli.
Durante una visita ad Hadi, la Cosa sostiene di essere coinvolto “in una missione importante per punire, con l’aiuto di Dio e del Cielo, tutti i criminali e infine fare giustizia sulla Terra.” La creatura diviene ben presto una figura di culto in tutto il Paese, e attira sostenitori tra quanti sono “stanchi della situazione del Paese e cercano una qualche forma di salvezza”.
Mano a mano che prosegue nella sua vendetta, la Cosa si accorge di aver bisogno di “pezzi di ricambio”, e dà il compito ai suoi sostenitori di trovarne; per quanto stia attento a specificare che non devono fornirgli parti di corpo provenienti da criminali, ben presto scopre che “metà del suo corpo è fatto di carne di criminali”. A questo punto, il cadavere vivente che una volta diceva di essere il simbolo della giustizia divina, cambia in peggio.
Provvisto di carne “colpevole”, la Cosa diventa ossessionato da una semplice domanda: “Quanto è davvero criminale un criminale?”
Incapace di trovare una risposta alla domanda che lo tormenta e costretto a fare i conti con il bisogno costante di parti di ricambio, la Cosa sente presto il bisogno di giustificare l’uccisione di innocenti che gli forniscano ricambi. Una volta minacciato dall’idea di perdere la vista, la creatura “che non ha nome” uccide un anziano per strada e si impossessa dei suoi bulbi oculari. Per quanto ammetta che possa non essere la soluzione ideale, si convince che la cosa migliore da fare per poter continuare la sua missione è “scegliere i ricambi dai corpi di coloro che meritano di essere uccisi.”

Lo scarso consenso attorno al personaggio è lampante, e la figura del cadavere vivente resta aperta a più interpretazioni. Per quanto gli si senta vicino, Hadi non riesce a sondare le reali intenzioni della creatura, e anzi, incapace di trovare una giustificazione per le azioni del mostro, decide di prendere le distanze facendo finta che non esista.
Elishua, altro personaggio del romanzo, è un’anziana donna che occupa la casa accanto a quella di Hadi, vede nella Cosa un riflesso di suo figlio Daniel, disperso venti anni prima nella guerra fra Iran e Iraq. Elishua passa il tempo dialogando silenziosamente con l’icona di San Giorgio, al quale supplica di riportare indietro il figlio. È significativo che la donna indirizzi il desiderio di rivedere il figlio al quadro di San Giorgio e il Drago, un’icona cristiana che mostra in maniera netta il conflitto tra il bene e il male e che tuttavia non si rivela all’altezza di mostrare invece chi esce vittorioso dal conflitto, il santo che dovrebbe rappresentare il bene, o il drago, spesso letto come simbolo del demonio.
Il santo, nella sua armatura e con la lancia puntata, non riesce a vincere le simpatie di Elishua, nonostante ella sia una cristiana molto devota. Per quanto trovi conforto nel dialogo con il ritratto silenzioso, Elishua non nasconde il fatto che “ama il suo viso mite ma odia la sua uniforme e la sua apparenza militare” non esitando a ritagliare la parte preferita dell’immagine, il mite volto di San Giorgio, quando decide di seguire sua figlia in Australia.

Frankenstein a Baghdad è un romanzo che cattura quel momento di sospensione, quel “rimanere nel mezzo” per usare le parole di Elishua nei confronti del ritratto. Nessuno è un mero criminale o una mera vittima in tempo di guerra: ognuno è un po’ dei due. Perfino il santo ha una natura ambigua. Per rafforzare questa idea, Saadawi si serve dell’omicidio, un atto che presumibilmente coinvolge due entità ben distinte, un criminale e una vittima. Saadawi sembra voler sfidare questa visione semplicistica e decide di esplorarla ulteriormente: una fuga precipitosa di un gruppo di iracheni terrorizzati all’idea di dover morire si trasforma in un massacro; la paura li ha convertiti da innocenti in criminali.
“Tutte le tragedie che stiamo attraversando sono riconducibili ad un’unica causa: la paura”, asserisce l’amico di Mahmoud, aggiungendo: “Vedremo sempre più morti a causa della paura.”
 A dispetto del desiderio di vendetta per le vittime innocenti che lo aveva guidato all’inizio, la Cosa finisce per diventare egli stesso un criminale. Di qui la natura contraddittoria dell’assolutismo morale: quello che per qualcuno è un criminale, per qualcun altro è un combattente per la libertà.
Il romanzo può essere letto come un tentativo di farsi beffe dell’assolutismo morale che divide le persone in bianche e nere, e che spesso agisce da catalizzatore per lo scoppio di guerre.
Sottolineando l’abilità del romanzo nello scoraggiare facili giudizi di valore da parte dei lettori, Baudrillard scrisse a proposito di Crash: “Da nessuna parte affiora uno sguardo morale”. Mettendo in risalto la relatività dei valori, Frankenstein a Baghdad è un romanzo che sospende perciò il giudizio morale.
Saadawi non dà un nome alla creatura, ma ogni personaggio vi trova un mezzo per un fine: per il Generale Surur essa rappresenta una possibilità di promozione, per Mahmoud materiale per uno scoop, per Elishua il figlio che ha perso.
Tornando all’interrogativo di Mahmoud: “Un pezzo di merda d’oro sarà un bel pezzo d’oro o solo un altro pezzo di merda?”. Fin quando Mahmoud si aspetterà di trovare una risposta a questo interrogativo, probabilmente la guerra in Iraq non cesserà.
_______________________________
 Al-Mustafa Najjar, siriano, è giornalista e traduttore per Asharq al-Awsat. Si è laureato alla University of Manchester in Post-1900 Literatures, Theories and Cultures e vive a Londra.
Ahmed Saadawi è uno scrittore, poeta e sceneggiatore iracheno nato nel 1973 a Baghdad, città dove lavora come regista.

lunedì 17 febbraio 2014

“L’oeil du jour” di Hélé Béji

Domenica, 16 Febbraio 2014 Ilaria Guidantoni

Ci sono libri che ti attraggono per il titolo o per la copertina o per qualche motivo apparentemente ancora più futile. La prima volta che mi sono imbattuta nel libro di Hélé Béji non conoscevo l’autrice, ma ha catturato la mia attenzione.

Ero nel negozio Zīna, a La Marsa Ville, a Tunisi, un raffinato angolo di design che unisce la tradizione alla modernità. La versione che ho preso tra le mani riproduceva una parete o un pavimento in piastrelle bianche e blu con qualche punta di giallo e qualche imperfezione del tempo. Più volte ho visto questo libro e non mi ero decisa a prenderlo. Lo scorso novembre ero invitata al I Forum degli scrittori euro- magrebini a Tunisi sulle identità plurali nel Mediterraneo a partire dalla propria esperienza e sapevo che c’era anche l’autrice, così ho deciso di acquistarlo con l’idea di farmi fare un autografo. Per un caso mi sono trovata a pranzo davanti a lei, un’elegante signora, engagée, decisamente laica, con un tocco francese e un sapore di tradizione insieme. Mi ha raccontato della sua casa alla Qasbah e mi ha colpita quella dichiarazione del suo essere ‘carnivora’ e della strana abitudine di bere il latte la sera come gli americani. Qualcosa di stonato mi ha disturbata, tanto più che di fianco a me avevo la scrittrice spagnola, Helena Cosano, vegetariana. Le due si sono becchettate e io ho osservato la scena.

I mesi sono passati e avevo letto solo distrattamente qualche pagina, sempre presa poi altrove finché non sono tornata a Tunisi e ho letto queste belle pagine, indubbiamente ben scritte, una sorta di cahier des mémoires, un tono proustiano dove i piccoli oggetti domestici e le piastrelle di una vecchia casa diventano la Madeleine di Hélé.

La recensione integrale su Saltinaria.it

venerdì 14 febbraio 2014

Dal crac Lehman alla Troika - "Greco, Eroe d'Europa" - Roma, 19 febbraio, Centro Studi Americani

Roma, 19 febbraio, presso il Centro Studi Americani

Via Michelangelo Caetani, 32   ore 17-19

Il "caso Grecia" va letto alla luce di ciò che sta accadendo in Europa e nel mondo come esempio emblematico dell’effetto devastante della crisi finanziaria planetaria. 
In occasione dell'uscita del libro "GRECO Eroe d'Europa” (Albeggi Edizioni) il Centro Studi Americani ospita un incontro per capire a fondo tali effetti e ragionare sulle politiche anticrisi europee e internazionali.

DAL CRAC LEHMAN ALLA TROIKA. GRECO, EROE D'EUROPA.
  
Intervengono:

Francesco De Palo, giornalista, autore del volume

Dimitri Deliolanis, corrispondente di ERT, (ex) TV di Stato greca

Maarten Van Aalderen, Presidente Associazione Stampa Estera

Sen. Francesco Maria Amoruso, Presidente Assemblea Parlamenti del Mediterraneo


Chairman: Paolo Messa, fondatore di Formiche e membro del board del Centro Studi Americani

Sulla copertina, i riflessi di un’acqua cristallina e poi uno strappo, dal quale fuoriescono mani con il palmo aperto: è il gesto della mounza, una protesta-insulto divenuto simbolo della reazione alla troika e al Governo di Atene durante i giorni dei raduni in piazza, quando i greci si facevano fotografare con le mani alzate contro il Parlamento.
Il libro di De Palo è una fotografia della Grecia di oggi, alle prese con disperazione e fame, con scandali e sprechi e con il fenomeno inquietante di Alba dorata. Accanto a questa fotografia, storie di coraggio, passate e presenti, pulite, alte ed edificanti che questa terra - che ha dato i natali alla filosofia, alla democrazia, alle arti e alla medicina - è riuscita ad esprimere. Da queste storie, sostiene l’autore, occorre ripartire per risorgere e cambiare di nuovo le sorti della Storia.

Francesco De Palo è giornalista, scrittore e blogger. Scrive di Mediterraneo e di politica per Il Fatto Quotidiano, Il Giornale, Formiche, Rivista Il Mulino e dirige il magazine Mondo Greco. 

mercoledì 12 febbraio 2014

Editoriaraba - La libreria al-Sa’eh: una fenice che risorge

Qualcuno forse ricorda la storia della libreria al-Sa’eh di Tripoli in Libano, che dei vandali avevano dato alle fiamme un venerdì sera di inizio anno.

A gestirla fin dagli anni ’70 era un prete greco ortodosso che di nome fa Ibrahim Srouj. Nella sua libreria, forse la seconda più grande del Libano, erano contenuti circa 80mila volumi.

Dal giorno dopo dell’incendio, la comunità locale e tanti amici e sostenitori dall’estero avevano avviato i lavori di ricostruzione e una campagna per raccogliere fondi e aiutare padre Srouj.

In rete e nei media si è parlato molto di questa storia perché quando si bruciano i libri, si brucia l’anima più profonda non solo di una città ma di una collettività, quella umana, intera.

Poi però un po’ la notizia è passata sotto silenzio. Qualche giorno fa ne ha parlato Riccardo Cristiano su Il mondo di Annibale, che inquadra la vicenda dell’incendio in una prospettiva geopolitica e racconta anche una buona notizia…

***
All’inizio di quest’anno è successo qualcosa di strano a Tripoli, in Libano: un prete ortodosso dedito al dialogo inter religioso, Ibrahim Srouj, ha mandato il manoscritto del suo nuovo libro al suo editore, un sunnita di tendenze salafite, anche lui di Tripoli. Il manoscritto arriva a destinazione, ma qualcuno vi ha inserito anche un pamphlet di insulti tutti rivolti al profeta dell’Islam, Maometto. Di lì a breve intanto la sorveglianza nel centro di Tripoli, teatro di feroci scontri tra filo e anti Assad da mesi, si dirada sorprendentemente e la libreria antiquaria di padre Srouj viene data alle fiamme.

Se questi sono i fatti, è chiaro che per molte persone avvedute il disegno criminale fosse evidente: nel momento di massimo attrito tra sunniti e sciiti, i khomeinisti di Hezbollah, protagonisti della pulizia etnica in Siria a danno della popolazione sunnita, volevano creare le condizioni perché l’isolamento dei sunniti si completasse, mettendoli contro la comunità cristiana e presentarla come la fotocopia del telebani anche nella cosmopolita Tripoli.

La notizia più bella e importante è questa: la campagna per raccogliere 35mila dollari, necessari a restaurare la libreria antiquaria devastata, ha già fatto centro. Anzi, i collaboratori del religioso ortodosso assicurano che in neanche un mese sono stati raccolti più fondi del minimo richiesto, quasi tutti reperiti con un porta a porta, a Tripoli.

martedì 11 febbraio 2014

"La manutenzione della meraviglia". Diari e scritture di viaggio di Tiziana Colusso

Lunedì, 10 Febbraio 2014 Ilaria Guidantoni

Un incontro durante un viaggio in treno, un segnale del karma di giornaliste e scrittrici viaggiatrici: ci siamo conosciute pochi anni fa con Tiziana, in libreria, alla presentazione di un libro che narrava di viaggi in qualche modo, non perché l’autore di spostava di chilometri nelle sue pagine, ma perché attraversava il mondo con le sue diverse lingue e culture, un chiasmo simbolico di incontri. Si trattava dello scrittore pakistano residente a Londra Aamer Hussein, citato anche ne “La manutenzione della meraviglia”.

L’autrice stessa spiega titolo e copertina e il senso è tutto lì, in quella citazione de’”L’arte della manutenzione della motocicletta”, letto in giovane età, del principio zen della conservazione dello stupore per la vita, per le piccole cose e il valore della meditazione; per Tiziana della meditazione buddista alla quale allude una monaca che stende un bucato singolare al sole, i cuscini monocromi del tempio: siamo nel sud della Francia, un episodio narrato nel libro. La fotografia è stata scattata nel 2009 a Plum Village, il ritiro del maestro buddista vietnamita Thich Nhat Hanh. C’è nel libro, le cui pagine scorrono con il flusso e il ritmo di un viaggio che trascina, ma potrebbero essere altresì righe sulle quali soffermarsi a lungo, per una meditazione appunto – ognuno scelga il suo ritmo e il suo mood – una freschezza quasi fanciullesca, il senso del meravigliarsi davanti alla natura, una sana curiositas verso le storie umane molto lontani però, a mio avviso, dalla sensibilità greca descritta da Aristotele. Avverto un senso indefinito, forse perché molto lontano da me, sconosciuto, che ingenuamente e genericamente mi sento di chiamare oriente. Nulla a che fare con l’orientalismo, il fascino romantico del lontano. L’autrice, al contrario, è consapevole e porta l’Oriente, lo trova e lo vive, lo coltiva anche a casa propria. Si avverte un’intimità e una fusione che non è intellettuale, ma vissuta nella sue pagine. C’è un’evidente consapevolezza come di se stessa, non avulsa da una divertente autoironia, nella sua percezione del tempo e nel parlare del proprio corpo come dotato di un’età indefinita da sempre. E a mio parere è proprio così. Finalmente una persona che si sa guardare allo specchio.

La recensione integrale su Saltinaria.it

lunedì 10 febbraio 2014

Presentazione del libro di Alfonso Campisi " Voyageurs arabes en Sicile normanne", Venerdì 14 febbraio a Tunisi

Venerdì 14 febbraio 2014 alla libreria Millefeuille de la Marsa, ore 17.00   

Presentazione del nuovo libro di Alfonso Campisi " Voyageurs arabes en Sicile normande" Ed. MC.
La prefazione è del prof. Habib Kazdaghli, Decano de la Manouba.

Ilaria Guidantoni che ha raccontato spesso nei suoi libri questo luogo di incontro parteciperà alla presentazione

Editoriaraba - I sei finalisti al premio per la narrativa araba 2014

Nella conferenza stampa in onda live dal sito del premio per la narrativa araba 2014 sono stati annunciati i titoli dei sei romanzi finalisti:



Youssef Fadel, Un raro uccello blu che vola con me, Dar al-Adab (Marocco)

Abdelrahim Lahbibi, I viaggi di Abdi, figlio di Hamriyya, Africa East (Marocco)

Inaa Kachachi, Tashari, Dar al-Jadid (Iraq)

Khaled Khalifa, Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città, Dar al-Ayn (Siria)

Ahmed Mourad, L’elefante blu, Dar el-Shorouq (Egitto)

Ahmed Saadawi, Frankenstein a Baghdad, al-Jamal (Iraq)

Su twitter potete seguire l’hashtag #IPAF2014 o l’account di 7iber @7iber.

Il vincitore verrà annunciato il 29 aprile ad Abu Dhabi, la sera prima dell’inaugurazione della fiera del libro dell’emirato.

Editoriaraba - Yasmine Ghata a Venezia, Bergamo e Roma ospite del Festival della narrativa francese 2014

E' diffidenza definire Yasmine Ghata come un’esponente della letteratura francofona e se parlarne su un blog che si occupa di letteratura araba sia a tutti gli effetti corretto.

Yasmine Ghata, nata in Francia nel 1975, studi alla Sorbonne e all’ École du Louvre, una specializzazione in arte islamica, figlia della poetessa libanese Venus Khoury-Ghata, nonché nipote di una degli ultimi esponenti dell’arte calligrafica.

La nonna paterna dell’autrice infatti, vissuta nella Istanbul di inizio Novecento, pare sia stata l’ultima discendente della grande scuola della calligrafia arabo-ottomana.

E proprio a questa donna-nonna d’eccezione Yasmine Ghata ha dedicato il suo primo romanzo, La notte dei calligrafi (trad. dal francese di Yasmina Melaouah), pubblicato in italiano da Feltrinelli nel 2005, tradotto in 13 lingue, con cui l’autrice ha vinto nel 2007 il Premio Grinzane Cavour – autore esordiente, il premio libanese Kadmos e il premio Prince Pierre de Monaco.

Il filone esplorato da Ghata è quello dell’elaborazione del lutto, personale e collettivo, che l’autrice affronta con una scrittura elegante e immaginifica. E d’altronde in un’intervista pubblicata sul blog della casa editrice Del Vecchio la scrittrice ha affermato: “Vorrei vivere in un paese tra Oriente e Occidente, tra il reale e l’immaginario”.

Il tema del lutto riferito alla figura paterna lo troviamo nel secondo libro pubblicato in italiano proprio da Del Vecchio, La bambina che imparò a non parlare (trad. dal francese di Angelo Molica Franco). Il padre assente, scomparso, ricordato, ritorna nell’ultimo romanzo, che Ghata presenterà al pubblico italiano in questi giorni: Concerto per mio padre (trad. dal francese di Angelo Molica Franco), in cui la scrittrice si immerge in un mondo fatto di strumenti musicali, arabeschi e perdite dolorose:

“Ma cambiare le corde di un târ equivale a cambiare la sua stessa anima e quella del musicista che lo possiede. E adesso che sono qui, rinchiuso con mio fratello Nur in questa cella di polvere e silenzio a scontare una condanna inclemente e sconosciuta, adesso che la vista mi sta abbandonando e che non riesco più a distinguere il giorno dalla notte, adesso che questo buio diventa sempre più mio senza voce e senza sguardi, ho paura. Ho paura di non tornare mai più.”

 Il tour italiano prevede tre tappe:

12 febbraio, ore 16.00 @ Venezia
Incontro insieme alla scrittrice Nahal Tajadod – Università Cà Foscari, Auditorium Santa Margherita

13 febbraio, ore 16.00 @Bergamo (città alta)
Università di Bergamo, piazza Rosate, sala 2

14 febbraio, ore 17.30 @Roma
Bibliocaffè letterario, via Ostiense 95

* Piccola nota sulle copertine: pollice verso per quella di Feltrinelli, grandi applausi invece per Del Vecchio e la copertina di Concerto per mio padre, che è una piccola opera d’arte e che tra colori, immagini e ghirigori, trova spazio per inserire il nome del traduttore

"Sono più forte di te. Una storia di stalking" di Andrea Rosselli

Venerdì, 07 Febbraio 2014 Ilaria Guidantoni

Una storia di malattia, perché lo stalking è una malattia: la si contrae per contagio e il sintomo della paura può essere il miglior alleato del virus, determinando la lenta ed inesauribile fine della vittima che può morire per consunzione, ovvero rassegnarsi a sopravvivere; qualche volta morire sotto i colpi della violenza del virus che non sempre si arrende.

Questa è la storia di una ragazza giovane e matura, consapevole, che proviene da una famiglia solida, con la quale ha confidenza, un lavoro stabile e comune, com’è quello dell’impiegato di banca, amici e un passato recente con qualche storia che ci immaginiamo fresca e sana. Ecco la parola giusta per definire la protagonista, sana. Per questo il romanzo che potrebbe essere la trascrizione di una storia vera è credibile ed è al contempo drammaticamente realistico. Scritto come un diario, ne conserva l’immediatezza e la freschezza, i cambi d’umore, con una scrittura spontanea, senza particolari rifiniture o guizzi, ma piacevole. Le pagine scorrono e commuovono, in certi punti fanno sorridere e mi ricordano tante storie che ho letto di autodistruzione di donne affette da disturbi del comportamento alimentare, un altro volto dei disagi del comportamento affettivo, dall’anoressia, alla bulimia fino all’obesità.

Colpisce la capacità dell’autore, un uomo. Andrea Rosselli, al suo terzo libro, per la sensibilità nell’identificazione che aggiunge valore ad un testo che nella mia lettura è dedicato soprattutto agli uomini, come ogni testo che parla alle vittime femminili. Il libro è un buon compagno di viaggio perché non racconta una storia ‘estrema’, una donna dai connotati disturbati che non giustificano certamente nessun tipo di violenza ma che la rende, almeno apparentemente, circoscritta e in qualche modo evidenzia una relazione connivente tra vittima e carnefice.

La recensione integrale su Saltinaria.it

giovedì 6 febbraio 2014

Editoriaraba - Kotobi.com e la rivoluzione dell’ e-kitab

Gli e-book, o e-kitab, nel mondo arabo presto potrebbero diventare una realtà a tutti gli effetti. È stato lanciato nei giorni scorsi Kotobi, il primo negozio online arabo per e-book, e per i lettori di letteratura araba (in arabo) questa è una di quelle notizie che si aspettava da tempo.
Perché è importante che gli e-book siano diffusi nel mondo arabo?
Il primo e più importante motivo è la distribuzione, che nel mondo arabo è praticamente inesistente. Gli e-book potrebbero anche essere un modo per aggirare la censura governativa che limita la circolazione e la vendita dei libri soprattutto in alcuni paesi. Se gli e-book diverranno davvero una realtà affermata nei paesi arabi, potrebbe profilarsi una vera rivoluzione per i lettori di questi Paesi. Per chi legge in arabo ma non vive nei paesi arabi, inoltre, diventerà molto più facile poter comprare finalmente testi originali in arabo senza farseli spedire dal Cairo o da Beirut.
La notizia l’hanno data i ragazzi di ex Libris – Digital Orient Express, il primo e-book store italiano specializzato in libri dal Mediterraneo e Medio Oriente, che così scrivono sul loro sito:
Kotobi.com – “اقرب مكتبة اليك“ è il primo negozio online arabo per ebook. Il progetto è proprietà della Vodafone ed è stato presentato ieri al Cairo. Appena possibile su Editoriaraba ci saranno i formati a disposizione dei lettori e come avviene il download dei file.
Oltre 40 editori sono già presenti nello store con circa 400 titoli in formato digitale.
Kotobi.com nasce dall’analisi della situazione del mercato editoriale cartaceo arabo: pochi lettori, poche librerie tradizionali, problemi di distribuzione. Ecco quindi una soluzione, non solo per gli editori ma, a quando dice il sito, anche per gli autori.
Dobbiamo aspettarci presto anche una piattaforma di self-publishing? 
Quello che è certo è che Kotobi mira a far crescere il contesto editoriale arabo e soprattutto il numero di lettori arabofoni, perché “la lettura è un ingrediente chiave per lo sviluppo di ogni nazione”.

mercoledì 5 febbraio 2014

"Greco Eroe d'Europa" di Francesco De Palo

Venerdì, 31 Gennaio 2014 Ilaria Guidantoni

Esce nei giorni di apertura del semestre greco di Presidenza UE il libro del giornalista Francesco De Palo, innamorato delle storie del Mediterraneo, di ieri e di oggi, che in Grecia ha trovato una patria del cuore e lo si avverte, al di là del suo intento dichiarato.

Fa da sponda alla passione dell’uomo, l’acume e la curiosità instancabile del giornalista. Le pagine del libro raccontano un contatto quotidiano, aggiornato e a trecento sessanta gradi sulla realtà greca. E’ un fatto che si avverte, si sente, la naturalezza con la quale parla, la partecipazione emotiva, la capacità di argomentare. Il libro a metà tra il saggio storico-politico e il reportage socio-economico, con ampie incursioni nel mondo culturale è una fotografia della Grecia tra scandali e degrado sociale, accanto a storie d’onore e di coraggio di ieri e di oggi. L’intento è dichiarato da Francesco De Palo nelle prime pagine, non solo un pamphlet, ma ‘uno sforzo narrativo’ per raccontare – e aggiungerei dimostrare – che anche nei momenti peggiori di sconforto la Grecia non si è mai arresa, memore del suo passato grandioso. Greco per l’autore è un dna che dagli eroi di ieri a quelli di oggi fa dire a questo popolo, e ad alcuni suoi grandi protagonisti, che è meglio morire da ellenico piuttosto che deporre le armi.

Sulla copertina, i riflessi di un’acqua cristallina e poi uno strappo, dal quale fuoriescono mani con il palmo aperto: è il gesto della mounza, una protesta-insulto divenuto simbolo della reazione alla troika e al Governo di Atene durante i giorni dei raduni in piazza, quando i greci si facevano fotografare con le mani alzate contro il Parlamento.

Scritto con un eloquio veloce, accattivante, che unisce la lingua veloce della presa diretta giornalista, la cultura classica con qualche nota di lirismo e una buona conoscenza della lingua greca classica e moderna, senza che l’inserzione di vocaboli e note appesantisca le pagine, la prima parte è un’ampia descrizione circostanziata della situazione attuale. Si narrano gli scandali, il degrado della casta, la miseria della popolazione, soprattutto il dramma dell’economia sulla spesa e i guai del sistema sanitario, la caduta vertiginosa dell’occupazione, ma in particolare si tratta di una lunga denuncia alla ‘disattenzione’ di quell’Europa che appare lontana e che pure in Grecia ha la sua culla. 

La recensione integrale su Saltinaria.it

«Un manuel ifrîqiyen d’adab soufi», 7 febbraio, La marsa, Tunjs, Librarie Millefeuilles

Vendredi 7 Février, à partir de 17h, Nelly Amri nous fera le plaisir de présenter son dernier ouvrage, «Un manuel ifrîqiyen d’adab soufi», paru aux éditions Contraste.



L’auteure 

Nelly Amri est historienne, elle est Professeur à la Faculté des Lettres, des Arts et des Humanités de la Manouba (Tunis). Son intérêt pour le soufisme, l’histoire de la sainteté et l’hagiographie de l’Islam médiéval, en Ifriqiya et au Maghreb en particulier, a donné lieu à de nombreux travaux.


Librairie Espace d’Art Mille Feuilles
99, Av. Habib Bourguiba
02070 Marsa Plage
Tunisie

martedì 4 febbraio 2014

Editoriaraba - Raja Alem: “Quando scrivo sono libera, come se volassi tra i miei sogni”

(Intervista pubblicata su Qantara.de il 31/01/2014. Traduzione dall’inglese di Arianna Corroppoli)

La scrittrice saudita Raja Alem è una delle voci più interessanti della letteratura araba di oggi. La Unionsverlag di Zurigo ha appena pubblicato la traduzione tedesca del suo romanzo Il collare della colomba*, che ha vinto il Premio internazionale per la narrativa araba nel 2011. Ruth Reif l’ha intervistata.

Raja Alem, lei ha scritto circa una dozzina di romanzi, oltre a opere teatrali, racconti brevi e saggi. Il suo lavoro le ha fatto ricevere numerosi riconoscimenti. Come mai il pubblico tedesco è arrivato solo ora a leggere il suo romanzo “Il collare della colomba”?

R.A. C’è un tempo per ogni cosa. Le case editrici devono riporre fiducia nei libri che pubblicano per i loro lettori. Ci sono molti pregiudizi e cliché sulla letteratura araba. Le case editrici si sentono a loro agio dentro questi cliché e faticano a pubblicare testi che non vi rientrano.
I miei romanzi sono profondamente legati alla mia città natale, La Mecca, ancora un mondo inesplorato. Io attingo ai miti, alla storia e alla filosofia della città, e tutto questo con un linguaggio che deve essere decifrato come i testi dei Sufi. Sono quasi impossibile da tradurre e quindi ho bisogno di un editore coraggioso e di un traduttore in gamba che sappia rendere i miei mondi e il mio stile al pubblico di lingua tedesca.

La Mecca è il luogo religioso dove ogni musulmano deve recarsi una volta nella vita. Ha avvertito la forza spirituale della città, lei che vi è cresciuta, ed è questa forza spirituale che le fa desiderare di scrivere?

R.A. A La Mecca ho visto pellegrini spostarsi di tempio in tempio. Questa forza spirituale ha ispirato la mia immaginazione. Scrivo per esplorarla, per scovare i suoi limiti più remoti e per lasciarmi trasportare da quella forza. I miei romanzi sono un’ estensioni di me stessa. Attraverso di loro mi immergo in mondi che sono antichi e futuristici insieme. Mi rallegra oltrepassare i limiti tra passato, presente e futuro, tra il possibile e l’impossibile, tra la vita e la morte. Cresco grazie ad ogni mio libro e permetto ai miei lettori di crescere a loro volta, come feci io da adolescente leggendo Siddharta di Hermann Hesse. Ricordo che fui molto colpita dalle similitudini tra il suo fiume e ciò che viene espresso nel nostro Corano.

Il suo romanzo sovrappone il dolore per la scomparsa dell’antica venerabile architettura de La Mecca e le “immagini de La Mecca del futuro”, con grattacieli giganti e una Kaaba di acciaio. Il suo ritratto di La Mecca è anche un ritratto della società araba.

R.A. Quando ho iniziato a scrivere Il collare della colomba mi sono guardata dietro. Non appena ho finito di scriverlo, mi sono ritrovata in un flusso di pensieri molto diverso. Non solo i sauditi, ma in tutto il mondo le persone si trovano a vivere in bilico su una realtà virtuale. La realtà sta perdendo il suo antico impatto emotivo. Non siamo più limitati da modi di pensare o stili di vita; ci stiamo pian piano trasformando in entità universali, virtuali, gradualmente mettiamo radici in un territorio virtuale dove le origini e il bagaglio culturale di ognuno sono visti come ornamenti, come regno “decorativo” condiviso da tutti, come fosse un museo dove fare due passi a cuor leggero, non come trincee per cui combattere.

Un argomento d’interesse per gli occidentali quando guardano ai paesi islamici è la questione dei diritti delle donne. Il suo romanzo mette in scena alcuni personaggi femminili molto forti e sicuri di sé.

R.A. La libertà non ci viene mai servita su un vassoio d’argento, ce la dobbiamo guadagnare. Ho sempre desiderato scrivere delle mie nonne e zie: sono i miei idoli moderni, donne che hanno avuto ruoli chiave nello sviluppo dell’Arabia Saudita, donne dallo status importante che vivevano fianco a fianco con donne oppresse. Un po’ dappertutto donne e uomini si impegnano per raggiungere l’uguaglianza o, al contrario, sono prevenuti nel farlo da convenzioni sociali. Questa battaglia è la vita. Quando una porta mi si chiudeva, io semplicemente mi infuriavo. Esercitavo continue pressioni.

Com’era la scena letteraria araba quando ha cominciato a scrivere? Quali erano i suoi modelli?

R.A. I miei modelli arrivano da ogni parte del mondo, dall’arte alla letteratura. Sono stata profondamente influenzata dagli antichi libri arabi, per esempio i lavori di grandi autori Sufi come Al-Nafari, Rumi e Ibn Arabi, Al Suhrawardi e Al Hallaj, il quale fu giustiziato per aver superato i limiti. Inconsciamente, il mio stile è stato anche forgiato da libri come Il libro degli animali di Al Jahiz o la cosmografia Meraviglie del Creato e le Strane cose esistenti di Al-Qazvini.
Si trattava di fantascienza prima ancora che apparisse in Occidente. Per me un libro è un’esistenza immaginaria, come un oceano che cresce improvvisamente nel quale posso perdermi. In Arabia Saudita i romanzi sono un terreno inesplorato: la penisola araba era una nazione di poeti, la poesia era il nostro libro di storia. Fu solo in seguito che emerse una generazione di persone ossessionate dallo scrivere romanzi. Fu allora che molti poeti divennero romanzieri.

A parte “Le ragazze di Riyadh” di Rajaa Alsanea, i lettori tedeschi non hanno assolutamente confidenza con la letteratura saudita contemporanea. Secondo lei quant’ è importante il lavoro degli scrittori sauditi contemporanei all’interno della letteratura araba?
R.A. I libri provenienti dall’Arabia Saudita e da altri stati del Golfo, o dal Nord Africa, sono spesso descritti come letteratura periferica. La gente pensa che l’Egitto, la Siria, l’Iraq o il Libano producano la letteratura principale, ma bisogna anche dire che a partire dagli anni ’90 però gli scrittori emergenti dal Golfo o dal Nord Africa hanno lasciato la loro impronta nella letteratura araba.

Ci sono alcuni temi prevalenti nella letteratura saudita contemporanea?
R.A. I romanzi sauditi in generale esprimono l’individualismo. Gli scrittori creano personaggi liberi, che si assumono pienamente e senza difficoltà la responsabilità delle loro azioni, ma attraverso essi non rappresentano certo la società, bensì loro stessi. Oltrepassano i limiti e sono pronti a pagare il prezzo per averlo fatto. La scena letteraria si è leggermente “rilassata” negli ultimi anni e ha gradualmente preso forma. Gli scrittori ora stanno dando vita allo spirito dell’Arabia Saudita e della sua splendida gente.

Qual è la situazione per quanto riguarda la censura in Arabia Saudita ora? Da un lato continuamo a leggere di scrittori arrestati, ma dall’altro lei stessa disse in un’intervista di essere riconosciuta in quanto intellettuale…
R.A. Non sono mai stata interrogata sul mio lavoro di scrittrice, che è veramente controverso, si interroga e su tutto ed esprime profonda sensualità. Questo non significa che non ci sia la censura, ma che i limiti sono vasti. Di certo, non abbiamo il permesso di insultare la religione o i valori delle persone. Comunque, personalmente, non presto attenzione alla censura mentre scrivo. Il momento in cui scrivo è così speciale, così puro: mi trovo in un luogo dove non sono toccata da ciò che è permesso e ciò che non lo è. In quel momento di trance, la censura per me non esiste. Quando scrivo sono libera, come se volassi tra i miei sogni.

Altri suoi romanzi verranno tradotti in tedesco?
R.A. Questo è un sogno senza limiti. Alcuni dei miei libri precedenti sono stati tradotti in altre lingue e mi hanno cambiato come scrittrice e come persona. Ora osserverò come i lettori di lingua tedesca reagiranno ai miei libri, come scopriranno me e i miei mondi. Ho grandi speranze. Un libro, una parola, a volte bastano per creare le connessioni più profonde.

_________________________________
Raja Alem è nata a La Mecca nel 1956, ha studiato Letteratura inglese all’Università di Jeddah e ha lavorato come insegnante. Ha pubblicato il suo primo romanzo La via della seta nel 1995. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo lavoro ed è stata la prima donna a vincere il Premio internazionale per la narrativa araba con il romanzo Il collare della colomba, nel 2011. Vive tra La Mecca e Parigi.

* Il collare della colomba uscirà nelle librerie italiane il 26 febbraio per la casa editrice Marsilio.

lunedì 3 febbraio 2014

Presentazione del libro "Manlio Gelsomini, Campione partigiano" di Valerio Piccioni

Manlio Gelsomini, Campione partigiano, Edizioni Gruppo Abele

sarà presentato

sabato 8 febbraio, alle ore 11, allo stadio della Farnesina di Roma

Parteciperanno: 

STEFANO BOLDRINI, giornalista della Gazzetta dello Sport; 
ALESSIA A.GLIELMI, del Museo della Liberazione di via Tasso; 
PAOLO MASINI, assessore ai Lavori Pubblici di Roma Capitale; 
ANGELA TEJA, presidente della Società Italiana di Storia dello Sport.