mercoledì 30 dicembre 2015

“Pasolini, un uomo scomodo” di Oriana Fallaci

Scritto da  Ilaria Guidantoni Domenica, 27 Dicembre 2015

Introduzione di Alessandro Cannavò

A quarant’anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini il caso è stato dichiarato irrisolto e archiviato definitivamente ma mai come oggi è vivo, il personaggio, l’uomo Pasolini e tutto il mondo che lo ha circondato così come le domande che investono la società italiana, il suo mondo intellettuale, il giornalismo d’inchiesta e la giustizia. Un testo su Pasolini e su Oriana Fallaci che raccoglie postumo la sua indagine, una controinchiesta sulla morte di un amico prima di tutto. E’ un testo a suo modo frammentario che consente di aprire la via a quella che per me spero una via di indagine su un buco nero dell’Italia contemporanea che può svelare molte più cose di quante si possano immaginare ad uno sguardo superficiale; proprio perché il caso fu archiviato frettolosamente e in modo un po’ spiccio da “sua Altezza” come ironicamente la definisce la fallaci, la polizia, prima che la magistratura.

Innanzi tutto c’è l’amicizia forte, intima e dialettica, fatta anche di scontri pesanti tra la giornalista e l’intellettuale: si piacquero subito, così diversi, uniti da una spiccata sensibilità, talora rabbiosa, una fervida intelligenza e l’essere al di fuori dagli schemi, spesso contro. La Fallaci ci racconta di essere stata affascinata da quest’uomo che aveva un lato di profonda femminilità e anche di rivalità con la maternità e il femmineo, nonché un’attrazione fatale per la morte che sembrava chiamare sfidando luoghi e frequentazioni che definire pericolosi è un eufemismo. Il loro scambio con le rispettive e turbolente storie affettive e sessuali, era talora furioso, ma animato da una profonda stima. Oriana provava per questo ragazzo anche una profonda tenerezza e un senso di protezione come quando lo ospita a New York e teme che finisca con una pallottola in petto o la gola tagliata. Dalle pagine di questo “uomo scomodo” si evince il ritratto filtrato da un’altra grande anticonformista come l’essere un cristiano al di là della ritualità e di ogni coerenza, arrabbiato e per questo auto dichiarato ateo o essere ossessionato dal peccato e quindi praticarlo oltre ogni buon senso e proprio in esso cercare la salvezza.

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“Quel velo sul tuo volto” di Nicola Lofoco

Scritto da  Ilaria Guidantoni Sabato, 26 Dicembre 2015

Un viaggio nell’assetto politico internazionale del mondo arabo, con un’attenzione mirata al dopo “primavere arabe” senza trascurare le implicazioni storiche e perlomeno i cenni alle ragioni di una situazione esplosiva che rischia solo di peggiorare.

Nicola Lofoco, barese, giornalista, conoscitore del Medioriente, intende con estrema onestà intellettuale andare al di là dei pregiudizi, provare a capire e a spiegare mettendo in luce le false interpretazioni e le strumentalizzazione sia da parte “araba”, sia da parte “occidentale”, ovvero europea e statunitense. A tal proposito emerge chiaramente come i movimenti terroristici di al-Qaeda e della cosiddetta Isis – tra loro in antagonismo – non siano che cattive interpretazioni e un tradimento della stessa religione islamica, così come le molte contraddizioni interne che si sono avvicendate tra spinte laiciste e sedicenti religiose, che si sono rifatte alla religione. Tra l’altro, come correttamente evidenzia l’autore, la laicità non è una garanzia di rispetto dei diritti umani come si è portati a pensare. Il saggio che, a dispetto del titolo, è una panoramica politica, dove una parte importante è occupata dalla considerazione della donna e le sue condizioni di vita, anche per venire incontro al dibattito europeo quanto all’integrazione che trova u epicentro se non l’epicentro sul tema del femminile nel mondo arabo e del velo, è piuttosto un affresco socio-politico che un approfondimento religioso-culturale. Un testo chiaro, molto spiegato, divulgativo ma documentato che può rappresentare una buona alfabetizzazione per chi non conosce se non dai mezzi di informazione l’universo arabo che, come spiega chiaramente Lofoco, non coincide con il mondo musulmano. I paesi arabi sono estremamente variegati, oltre che numerosi, non assimilabili in un tutt’uno indistinto. Non solo, ma essere arabi non significa di per sé essere musulmani e, viceversa, ci sono paesi come l’Iran che non è un paese arabo dove l’elemento religioso è molto presente e invasivo così come l’Indonesia, il paese con la maggioranza di concentrazione musulmana: 205 milioni di musulmani, pari all’88% della popolazione.

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mercoledì 23 dicembre 2015

“L’autunno, qui, è magico e immenso” di Golan Haji

Scritto da  Ilaria Guidantoni Martedì, 22 Dicembre 2015

Una raccolta di poesie che è un viaggio nella vita che vibra sotto le ceneri, che non si arrende. Una scrittura poetica che unisce l’arcaicità della poesia classica e la modernità del verso spezzato, della prosa, come la contraddizione della vita. Un poeta di rara sensibilità e raffinatezza, che impegna in una lettura complessa e ardita, estremamente virtuosa, mai retorica e accademica per descrivere la precarietà di una vita strattonata dalla guerra, dove l’esilio è struggente, il sangue troppo vivido e scuro ma l’amore resta un appiglio irrinunciabile. Una poesia di impegno non militante e per questo arte pura.

La Siria di oggi è violenta e nessun intellettuale autentico può esimersi dal raccontarne il dolore, lo strazio, la tortura una vera ossessione, solo che Golan Haji – Joulān Hāī – poeta curdo, medico patologo, di madre lingua curda che scrive in arabo e si auto-traduce in inglese, lo fa in un modo garbato, dando sfogo alle vibrazioni interiori, senza intenti programmatici. L’attualità scaturisce dal riflesso che procura nel vissuto intimo e in un’assonanza tra il corpo del poeta, dell’io narrante e la terra. La metafora dell’autunno è centrale perché nella sua bellezza struggente, non è custodia del calore e dell’energia dell’estate, non prepara né protegge dal rigido inverno, non è un invito all’intimità ma è lacerazione, come nella poesia che dà il nome alla raccolta. Perfino l’azzurro del cielo si accompagna alle ombre di un dormitorio. E lo stesso meriggio è quel vagare nell’ombra in un passaggio dal caldo accecante all’oscuro. E’ come se non ci fosse nessuna tregua: la sua è una poesia delle ombre intese come tenebre, fragilità dell’essere umano ridotto ad ombra di se stesso, piegato come ci racconta il poeta dalla tortura, anche solo psicologica; ma anche come riflesso del tutto, della bellezza divina, ineffabile e imprendibile per il poeta. Ricorda certamente in questo aspetto sia la tensione “mistica” della poesia classica e la missione del poetare come epifania sia quella moderna dell’indicibilità e dell’impotenza umana. Come non ricordare Eugenio Montale e noi che non abbiamo il verso? Ecco che il tema non diventa solo il racconto della vita dolorosa della Siria al tempo di oggi, anche se non c’è mai una puntualizzazione del luogo e del tempo, quasi fosse una condizione esistenziale universale, quanto un meta discorso sul linguaggio, sul dovere e la tensione all’infinito che però non si realizzerà mai completamente.

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lunedì 14 dicembre 2015

Firenze 12 dicembre 2015


Firenze, Hotel Golden Tower
12 dicembre 2015

Il debutto di "Viaggio di ritorno. Firenze si racconta" (OltreEdizioni)

con Maurizio Filippini

Limes 11/15 “La strategia della paura”

Il numero 11/15 di Limes è dedicato alla strategia del terrorismo e alle conseguenze geopolitiche degli attentati di Parigi

“Piccole storie di Ornella V.”

Scritto da  Ilaria Guidantoni Venerdì, 11 Dicembre 2015

Istantanee, pensieri, tra la cronaca quotidiana di un diario, il sogno e le fantasie di una celebrità della canzone italiana sotto forma di racconti. Quello che emerge è una figura “domestica”, la donna dietro le quinte, così quotidiana che svela una dolcezza lontana dall’aggressività sensuale delle scene e soprattutto dotata del tocco dell’ironia.

Quattordici racconti, pennellate e graffi che si mostrano da una porta semi-aperta, una finestra che si spalanca all’improvviso o una sala d’attesa in un aeroporto. Sembrano pagine di diario ma forse sono in parte storie inventate, vere quanto le nostre fantasie intime che partono certo dalla realtà, per poi colorarsi e vestirsi dei nostri sogni e delle sensazioni che ci attraversano. Rapidi e ritmati come una canzone le piccole storie di Ornella, svelano una delle voci più note della canzone italiana oltre che una rappresentante delle scene e della sensibilità nazionale non solo musicale, dalla parte segreta e direi domestica. Del leone dai riccioli rossi scompigliati, dalla sua sensualità aggressiva, trasgressiva e non riconducibile all’immaginario classico - che la stessa Vanoni cita in questa pagine - resta solo il graffio dell’ironia. E’ per dirla con Aristotele la “sproporzione” che genera comicità e che nei brevi, talora brevissimi, racconti diventa la sorpresa finale, il ribaltamento della situazione e che fa dire che la Vanoni ha certamente il piglio del narratore perché ne ha il fiuto e il gusto.

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“Miles e Juliette” di Walter Mauro

Scritto da  Ilaria Guidantoni Domenica, 13 Dicembre 2015

Un testo denso e struggente nel racconto e nella scrittura, così fluida, impalpabile eppure graffiante. E’ un romanzo-documento di un’iniziazione amorosa, breve e folgorante, un affresco della Parigi del Quartier Latin nel 1949, del cenacolo degli esistenzialisti e di due grandi della musica che l’autore ha conosciuto dal vivo. E’ l’amore struggente e disperato come ogni amore impossibile tra la grande tromba del jazz Miles Davis e l’angelo di Saint-Germain Juliette Greco.

Questo romanzo, perché ha a tutti gli effetti ha il gusto della narrazione, è anche un prezioso documento di un’epoca e di un ambiente che non esistono più e che hanno segnato la modernità non solo parigina e francese, ma almeno europea. Sono stata letteralmente rapita dalla copertina e dal fatto che non conoscessi questa storia d’amore tra due grandi della musica che amo e che ho ascoltato dal vivo. In effetti la loro intensa storia d’amore è durata due settimane nel maggio di quel 1949 durante il soggiorno di Miles Davis a Parigi: un amore che non sarebbe finito mai neppure dopo la separazione, forse perché impossibile da sempre. Non solo fu breve ma gelosamente custodito nel circolo degli amici intimi e Simone De Beauvoir, le Castor per gli amici, la compagna di Jean-Paul Sartre, Paulu per gli intimi, in quale modo la guida del circolo intellettuale, ne custodì la riservatezza quasi morbosamente come le appartenesse e facesse parte di una delle lezioni del suo uomo. Il libro è travolgente innanzi tutto per la scrittura intrigante e preziosa, lirica e pungente, di Walter Mauro che è stato uno dei più noti esponenti della critica militante musicale e letteraria che anima il testo delle emozioni vissute in diretta, nascondendo con nonchalance le citazioni e le informazioni dietro la naturalezza di un ambiente respirato. E’ anche un libro di iniziazione all’amore, alle sue sofferenze, alla lacerazione della passione di due artisti e soprattutto di un uomo che è devoto primariamente alla propria tromba e solo in seconda battuta alla donna e alle donne che pure ha amato molto. E’ soprattutto un documento carnale di un momento magico dello spirito e del pensiero che per decenni e ancora oggi chi ama quella filosofia e comunque la trova una pietra angolare nella fondazione della cultura contemporanea va cercando a Parigi.

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giovedì 10 dicembre 2015

“Vergogna tra le due sponde. La schiavitù contemporanea nel Mediterraneo” di Ezzat el-Kamhawi

Scritto da  Ilaria Guidantoni Martedì, 08 Dicembre 2015

Ricostruzione interessante, documentata, critica, senza pregiudizi ideologici dell’Egitto contemporaneo, dei suoi mali interni ed interiori all’origine dell’emigrazione. Una storia dietro le quinte che difficilmente si conosce e si può capire senza un interprete acuto come Ezzat el-Kamhawi, che dimostra di saper essere poeta della scrittura quanto giornalista e saggista, in grado di puntualizzare le parole e svelare quanti pregiudizi ed interpretazioni forzose esistono in merito all’espressione “Immigrazione clandestina”. Non scontata la sua attenzione alla presenza egiziana nel nostro paese e all’emigrazione di ritorno. Infine un testo che non fa sconti né al proprio paese né all’Europa.

Un saggio e una cronaca dei naufragi, una ricostruzione che non si accontenta di analizzare il fenomeno contestualizzandolo ma ampliando l’orizzonte storico dell’Egitto contemporaneo dal 1952 alle rivolte del 2011, fino ai moti del 2013 e alla vigilia dell’oggi. Un testo giornalistico che diventa anche narrazione di storie e vicende umane nonché approfondimento filosofico e sociologico sulla civiltà egiziana di oggi, quella che non conosciamo, cristallizzati come siamo nella visione di un Egitto che affonda nel mito. A tal proposito interessante il tema del valore del corpo nella civiltà rurale egiziana e del tema della terra che appare come un fil rouge di questo popolo, dal Nilo e le sue inondazioni ma anche il suo essere padre fecondatore e in qualche modo divino, maledetto quanto benedetto ad un tempo, fino alla politica agricola odierna per la quale il ministero preposto si chiama, non a caso, dell’agricoltura e dell’irrigazione. Il tema dell’agricoltura e della condizione miserabile dei contadini dall’epoca dei faraoni a oggi entra nelle pieghe e nei risvolti di un paese che, leggendo questo libro, ci accorgiamo di conoscere come un’immagine lontana nel tempo e fissata una volta per tutte. Nel 2010 succede qualcosa di sconvolgente per un paese nel quale trascurare la terra è un’offesa alla grazia di Dio se non direttamente a Dio: il 30% del terreno è lasciato incolto.

Secondo el-Kamhawi il giovane rurale sopporta dolori diversi da quello di città e non è tutelato dalla legge per il lavoro minorile ma forse nemmeno dalla famiglia che considera il corpo del figlio di proprietà collettiva.

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lunedì 7 dicembre 2015

“Fecondatio animale” di Giovanna Mulas

Scritto da  Ilaria Guidantoni Giovedì, 03 Dicembre 2015

Una confessione, un flusso di coscienza interrotta, sanguigno come la voce narrante che narra di sé: è la Sardegna ispida, rocciosa, interna e interiore, delle profondità, mentre il mare resta una minaccia. Voce al femminile, vaso ancestrale di vita che assume in sé elementi vitalistici e confessa il proprio dolore senza arrendersi. E’ anche un’analisi sull’intellettuale come narratore della propria coscienza e voce del mondo, con il dovere di dare parola ai più deboli.

E’ difficile recensire i libri di Giovanna Mulas, soprattutto questo, perché sfuggono più di altri ad un’etichettatura e non è né un appunto né un complimento. Chi la conosce come me può capire che leggere un testo che è una confessione così come anche i suoi romanzi senza incontrarla è arduo e qualche volta se ne può perdere il senso. Giovanna è carnalità allo stato puro e voce e i suoi romanzi vanno prima di tutto ascoltati nei suoi recital, guardandola, respirandola. Questo scritto non sfugge a mio parere a tale logica, anzi la rafforza e testimonia il continuum che in lei esiste tra vita e letteratura più che altrove. Il testo è frammentario e nello stesso tempo fluido, con alcuni passaggi che tornano, ciclicamente, è più di un’autobiografia e di un diario intimo, è la confessione quasi dal vivo, registrata sulla carta di un’anima dolente ma non arresa. Giovanna narra in capitoli che sembrano piccoli saggi, estratti, talora scritti propedeutici o a commento di altri suoi scritti nonché articoli di un giornalismo irrituale, la propria storia senza un’organizzazione storica, logica e narrativa ma partendo dal dolore e dagli episodi apicali di esso: la lotta con il mare al quale è sfuggita per miracolo che diviene metafora del maschio tentatore e violentatore in un immaginario molto vicino a quello del mondo arabo mediterraneo. Poi Giovanna è la vittima di una madre, a tratti dolcissima, in altri momenti violenta, preda della schizofrenia; e ancora di un padre, un amore grande e un involontario carnefice – il commento è mio e mai dell’autrice che gli è teneramente riconoscente – per aver amato e protetto i figli, nascondendogli però l’amara verità e quindi disorientandoli rispetto alla madre. E ancora vittima di un amore malsano e violento fino alla resurrezione.

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mercoledì 2 dicembre 2015

“La poesia nelle piazze. I versi di protesta della primavera araba” di Hussein Mahmoud

Scritto da  Ilaria Guidantoni Lunedì, 30 Novembre 2015

Un excursus di grande interesse che mette al centro della cultura araba la composizione poetica, della quale si sa poco o nulla, al di fuori dei confini di dove è nata. Un lavoro prezioso di comparazione accompagnato da una ricca antologia ben commentata. E’ un testo minuzioso, attento ma anche molto fruibile che riporta l’attenzione sulla poesia per la sua forza popolare ed emotiva dirompente che, soprattutto nel mondo arabo, coinvolge i giovani e l’impegno civile, come dimostra la sua rinascita in occasione delle rivolte recenti. Dal 2011 – soprattutto in Egitto – si torna alla poesia rifacendosi anche con citazioni esplicite ai poeti antichi.
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Un lavoro prezioso e originale. La poesia ha sempre svolto un ruolo di grande importanza nel mondo arabo. A partire dall’epoca preislamica – della cosiddetta ignoranza - quando i poeti si sfidavano a colpi di versi nella piazza del mercato. Tenzoni che ricordano per le tematiche e lo spirito i lirici greci, con i piaceri al centro dell’attenzione, dall’eros al vino. I primi componimenti, ci ricorda l’autore, sono nati nei pascoli e nel deserto, per poi trasferirsi appunto nel cuore della città, addirittura 3mila anni or sono con composizioni ritmate su sistemi metrici molto semplici. Con l’urbanizzazione le poesie furono “appese”, nel senso stretto del termine, mu’allaqāt appunto, per essere lette pubblicamente e valorizzate, ad esempio sui muri della Ka’aba. Nel VII secolo dell’era cristiana questo tipo di espressione raggiunse l’apice: in particolare il libro ricorda Imru’ l-Qays, cosiddetto “capo dei poeti del fuoco all’inferno”, noto tra l’altro per le allusioni erotiche esplicite, oltre che per alcune descrizioni del suo destriero e cammello. Altro poeta di questa tradizione Tarafa ibn al-‘Abd, morto nel 560 d.C. e chiamato “il poeta della filosofia personale”. A suo avviso i tre pilastri della vita sono che niente vale più del piacere di consumare la propria fortuna bevendo vino; accogliere sotto la propria tenda lo straniero gustandone la compagnia; e abbandonarsi alle gioie dell’eros. Naturalmente la poesia preislamica è ben più ricca dei sette poemi appesi e tra le tante voci mi ha colpito la prima voce letteraria femminile araba, al-Khansā della zona dell’odierna Arabia Saudita nel 575 d.C.; mentre per il volgare italiano – fa notare Hussein Mahmoud, si deve attendere Compiuta Donzella, rimatrice fiorentina del XIII secolo.

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