lunedì 8 febbraio 2016

“La letteratura è un cortile” di Walter Mauro

Scritto da   Domenica, 17 Gennaio 2016 

La letteratura contemporanea italiana, la stagione del Neorealismo e il suo superamento, le contaminazioni internazionali, tra parole e musica, raccontata come un incontro, una serie di appuntamenti in un cortile. Walter Mauro conferma la sua vocazione narrativa, la raffinatezza del suo scrivere con l’immediatezza e la naturalezza di chi la cultura la vive sulla propria pelle, come un’emozione musicale.
È il secondo libro di Walter Mauro, critico letterario e musicale militante, che recensiamo su queste pagine. Allievo di Ungaretti, scomparso nel 2012, ha incontrato i più grandi del Novecento, intrecciando fin da ragazzo musica e letteratura, anche per la formazione che ha ricevuto dal padre, appassionato di Wagner – reazionario in musica come lo definisce lo stesso autore - e antifascista allo stesso tempo. In questo libro sceglie i suoi ricordi, soprattutto quelli del biennio 1966-67 particolarmente vitale, per certi aspetti straordinario: due anni di incontri singolari. 
È proprio l’incontro tra persone che Mauro mette al centro della propria antologia facendoci rivivere l’atmosfera di decenni vitali, di relazioni umane prima che di pagine scritte. La storia comincia a Bari dove l’autore racconta di essere diventato uomo. Parliamo del 1941, dell’editore Laterza e della figura di Benedetto Croce. Nel 1943 il padre, pilota di aeronautica è trasferito a Roma, e la famiglia intraprende il viaggio a bordo di un camion perché di treni non ce n’erano. La risalita lungo la Penisola diventa la prima tappa di un percorso che in gran parte si svolge attraverso i libri della biblioteca del padre, quasi un “sacrario”, aperto alle voci più varie. Al padre naturale si aggiunsero presto i padri della poesia, Giacomo Leopardi e poi Giuseppe Ungaretti, quindi il jazz, una visione di vita, un modo di sentire prima che un genere musicale amato. Interessante in questa passeggiata ariosa, quanto densa di informazioni, offerte con la naturalezza di chi le ha metabolizzate, perché vissute, amate, prima di averle studiate, il confronto tra anime dialettiche che Mauro non esita mai a far incontrare, nella vita o sulla scena, così a cominciare da Natalino Sapegno e Giuseppe Ungaretti che tengono un corso sulla poesia di Leopardi in concomitanza offrendo, l’uno un approccio colto, filologico, l’altro più emozionale che rintraccia le origine del poetare leopardiano in Francesco Petrarca. Di Ungaretti Mauro ama soprattutto la grande forza innovativa che a suo parere né Quasimodo né Montale sono riusciti a raggiungere, al di là dei premi e dei riconoscimenti. A questo proposito ricorda, concludendo amaramente, il suo cammino nell’Italia dei libri, scrittori ed editori, che ad un certo punto la selezione per la pubblicazione avviene sulla base della stima delle vendite e non del valore intrinseco della scrittura con la conseguente commercializzazione dei premi. Non che in passato siano mancate le polemiche sui riconoscimenti anche se di questi appuntamenti – Mauro ha perso il conto delle giurie delle quali ha fatto parte – conserva il bel ricordo di occasioni di incontri, ancora una volta.
La vita di Mauro si snoda con il ritmo serrato ma non affannato del peregrinare nel mondo, tra interviste, racconti e scambi di idee, un continuo viaggiare nell’umanità, senza mai perdere le proprie radici come l’attaccamento a Bari e alla sua Puglia, grazie al richiamo degli amici, dove per la prima volta si è ubriacato di jazz.
È poi la volta del Neorealismo, del recupero del verismo e dei rapporti talvolta conflittuali con il PCI da parte degli autori di sinistra, quando letteratura e impegno politico rivoluzionario non solo facevano rima ma erano diventati sinonimi, da Elio Vittorini e la sua uscita dal Partito, alla malinconia di Cesare Pavese, alle Langhe di Beppe Fenoglio, fino al personaggio controverso di Giuseppe Berto – che io stessa ho scoperto tardi – emarginato perché non engagé nell’unico senso ammesso in quegli anni. È l’autore de Il male oscuro, un testo profetico sulla depressione che sarebbe diventata il vero male dell’umanità. Per Mauro invece non contano le etichette ma prevale la curiosità, l’ascolto di ogni rivolo di sensibilità umana, l’irresistibile desiderio di conoscere l’umano.
A Italo Calvino riserva il podio d’onore della letteratura del Novecento, colui che riuscì a fondere impegno e immaginazione senza guinzaglio, in un dotto intreccio simbolico che ne fa l’autore di un realismo magico (la definizione attribuita a Calvino è mia) della letteratura italiana e che disse che viviamo un periodo “tra un garofano e una spada” che ben simboleggia quel nodo tra mondo dei sentimenti, voglia di evasione e di fantasia e impegno civile.
Sarà il fiorentino Vasco Pratolini con Metello a chiudere la stagione neorealistica cercando di portare questa contraddizione in un’armonia lirica. Ma Pratolini (ndr) aveva la lezione rinascimentale della sua Firenze. Eppure anche il grande Calvino non era scevro dai vizi dell’uomo qualunque, il peggiore dei difetti danteschi – sottolinea Mauro – l’invidia. Ecco perché la letteratura è un cortile, di pettegolezzi, amori, ripicche ed è per questo profondamente umana e affascinante.
Accanto all’Italia un posto speciale nella formazione di Mauro ce l’ha la Francia, in particolare il Festival Jazz di Parigi del 1949. Nella capitale Mauro passa alcuni anni, immerso tra jazz ed esistenzialismo e in questo libro accenna solo alla storia di Juliette Gréco e Miles Davis, al quale dedica anche un libro, Miles e Juliette (recensito su queste pagine). Mauro ha la capacità di rendere domestici i grandi personaggi della storia come il caso di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir che incontrava all’Hotel Nazionale a Roma.
Nei sentieri romani si ritrovano Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Elsa Morante, Giorgio Bassani e Leonardo Sciascia, tra gli altri .
Poi il nostro autore prende il largo verso la scena internazionale nella sfera dei paesi che hanno vissuto drammi storici come la Grecia di Vassilikos del colpo di Stato dei Colonnelli, lo scrittore che non si considerò mai in esilio ma solo distante fisicamente dalla patria; la Spagna del poeta dissidente Rafael Alberti e dell’amata moglie che con lui condivise un destino difficile; e ancora il Cile e le lacerazioni che attraversarono il mondo tra gli Sessanta e Settanta. Nella letteratura cresce il disagio dell’uomo contemporaneo, l’assurdità della persecuzione e della tortura presente come nel Processo di Josef Kafka, o il rapporto sgrammaticato con il sesso del Il lamento di Portnoy di Philip Roth o ancora il dramma corale di Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez.
Sono riflessi che rispecchiano la caduta di binari che consentono tracciati regolari, nel sociale come nell’individuale e che, a ben guardare, vengono da lontano. Era infatti il 1943 quando Duke EllingtonBlack, Brown and Beige sull’integrazione raziale negli Stati Uniti. La letteratura testimonia la realtà, la racconta, si sforza di comprenderla, consola ma purtroppo non sembra trovare una via d’uscita, proprio come la vita.
La letteratura è un cortile
di Walter Mauro
Giulio Perrone Editore
Settembre 2014
Euro 10,00
Articolo di Ilaria Guidantoni

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