domenica 13 novembre 2011

"Esercizi spirituali" di Ignazio di Loyola

Gli esercizi spirituali sono un grande classico la cui suggestione è nata in me dal romanzo di Leonardo Sciascia, “Todo modo”, ovvero ‘in questo modo’, nel senso del modo con il quale si svolgono appunto gli esercizi spirituali scritti da Sant’Ignazio di Loyola. Il testo è per me eccelso, intendo il romanzo siciliano, forse l’opera migliore dello scrittore dal quale è nato un film molto discusso e bandito e una versione teatrale. In effetti gli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola non nascono per essere letti ma recitati, eseguiti. Nondimeno sono un’opera di valore letterario e soprattutto di testimonianza storica e di grande forza in quella che potremmo definire una psicoanalisi spirituale.
Sono uno strumento che, come scrive il semiologo francese Roland Barthes in un bel saggio introduttivo nella versione (che oggi sembra esaurita) delle edizioni TEA, la collana Religioni e miti, “non occorre essere cattolici, né cristiani, né credenti, né umanisti per esserne interessati”.
Il mio interesse è nato certamente da una suggestione letteraria per diventare fascinazione dell’allenamento spirituale, non già e non necessariamente religioso, al quale siamo totalmente disabituati come del resto alla meditazione e certo non ne sono stata delusa.
Al di là dell’avvertimento di Roland Barthes è giusto precisare che occorre una discreta cultura per avvicinarsi agli Esercizi del basco rinascimentale che nacque nel 1491 e fu avviato alla carriera delle armi. La conversione spirituale lo portò poi ad essere ordinato sacerdote nel 1537 e a Roma dove inizia un percorso di piena disponibilità verso il Pontefice per la costituzione di un nuovo ordine religioso, la Compagnia di Gesù. Ignazio morirà poi nel 1556.
E’ lo stesso autore che circoscrive alle persone dotate di preparazione intellettuale gli Esercizi anche se con grande modernità cerca di accompagnare con garbo la soggettività di ciascuno riservando la meditazione di un’ora almeno ma possibilmente anche più alle persone abituate a compiti pubblici e con un intelletto più allenato. La disciplina è infatti tutta interiore nel senso che c’è, a più riprese, la disponibilità di chi accompagna l’esercitante nel modificare leggermente tempi e modi, nella maggiore ripetizione di un esercizio a seconda delle necessità e così via.
Dal punto di vista storico il testo è un documento importante perché riflette il linguaggio cortese della Spagna del tempo e non è un caso che a Dio è attribuito spesso il nome di maestà e anche la gerarchia della Chiesa sembra riflettere quella dello Stato. A mio parere emergono anche dei particolari che almeno nel linguaggio possono apparire inattuali all’uomo del XXI secolo rispetto all’autorità indiscussa della Chiesa e alla dichiarata superiorità del sacerdozio al matrimonio o laddove si parla, con una certa naturalezza per i tempi, di elementi di penitenza come il cilicio. Sotto il profilo del ruolo dell’opera nella storia, come ricorda Roland Barthes nel saggio introduttivo, i Gesuiti hanno svolto un ruolo determinante nella letteratura e hanno consegnato alla Francia barocca l’idea del bello scrivere. Sull’opera di Ignazio secondo molti critici il linguaggio degli Esercizi è faticoso e bizantino, perché il linguaggio è ritenuto solo un strumento funzionale ad esaltare il contenuto e forse (ndr) a sottolineare la fatica dell’anima in questo cammino. Secondo Barthes, al di là di un’idea della scrittura ‘decorativa’ e ‘funzionale’, esiste una terza via, primaria e antecedente, quasi una trascrizione della parola nel senso più profondo.
Il testo è multiplo e precisamente raccoglie 4 testi e ritengo possa essere letto a più livelli come molte opere pedagogiche quali i Dialoghi platonici ad esempio ma con una forte differenza: gli Esercizi di Ignazio sono un testo interrogativo, fondato sulla domanda e non sulla risposta o su una tesi da dimostrare, ma un cammino da vivere.
Quanto al destinatario il primo testo o livello è rivolto dall’autore al direttore spirituale del ritiro, il testo letterale; il secondo dal direttore all’esercitante, semantico; il terzo, allegorico, è l’esercizio vero e proprio che l’esercitante rivolge a Dio; il quarto, infine, analogico, il senso emanato dalla divinità.

Il contenuto è una meditazione religiosa che presuppone un lavoro metodico, idea non nuova di per sé nella storia delle religioni e della mistica, ma la novità è proprio nel linguaggio: si tratta di un esercizio retorico più che mistico, sottolinea Barthes, un vero e proprio allenamento della mente, ritengo, oltre che dell’anima fondato sul potere evocativo dell’immagine. Al centro la domanda della mantica classica che l’uomo rivolge a Dio – pensiamo a tutta l’arte della divinazione, dell’interrogazione degli oracoli – mentre la risposta è affidata ad un’altra opera di Ignazio, il “Diario”. A tal proposito mi sembra di poter dire che è nella giusta domanda e nella corretta inclinazione del chiedere a Dio che si focalizza l’attenzione dell’autore come a sottolineare ed indicare l’essenza del pregare stesso: restare in un atteggiamento di umiltà, analizzando consolazione e desolazione del proprio animo, con la disponibilità a chiedere e ringraziare Cristo. E’ alla figura del Cristo infatti che si lega questo cammino ed allenamento spirituale seguendone in 4 settimane di ritiro la vita e le opere. Più o meno si tratta di 30 giorni che, anche se vedono una struttura rigorosa a livello organizzativo nella ripartizione della giornata, Ignazio tiene a precisare in più occasioni, che ciascuno deve anche seguire il proprio ritmo delle ore, dei momenti della preghiera, così come del sonno e della veglia, in modo che ci sia agio e armonia nella preghiera e non un sacrificio al di sopra delle proprie possibilità. Il messaggio che mi pare emerga è che la preghiera non è una sfida ma un esercizio nel quale si cerca conforto e lo si trova anche nel sostegno che nell’immediato è offerto dal proprio direttore spirituale. Il ritmo, sottolinea Barthes, è binario tra un prima e un dopo, rispetto ad un centro, l’elezione ovvero la scelta che rappresenta la funzione generale degli esercizi.
Il ritiro, come dice lo stesso termine, è un periodo di isolamento che però rispetto alla tradizione precedente ha un elemento di novità: l’organizzazione stretta del tempo che diventa tutto pieno e che mette al centro l’immaginazione, dove la mistica svuotava, Ignazio riempie.
Evidentemente l’autore conosce bene la retorica, con la propria struttura ad albero che prevede una preghiera preparatoria, seguita da una richiesta a Dio che è focalizzata di volta in volta sul soggetto della meditazione, quindi la storia che è quella del Cristo sui diversi argomenti, per poi passare alla visualizzazione del luogo della scena (una sorta di teatro terapia ante litteram), quindi una nuova domanda. L’andamento è quello della ripetizione dello schema con variazione del soggetto seguendo una lista di regole che in parte si diversificano di settimana in settimana. La ripetizione appare l’elemento capitale della pedagogia di Ignazio, afferma Barthes, ma possiamo dire di molta pedagogia tradizionale, attraverso la ruminazione – il termine è dell’autore degli Esercizi – che era già presente nella Scolastica (la ruminatio) e la ricapitolazione.
Dal punto di vista dell’allenamento Barthes evidenzia come negli Esercizi c’è molto desiderio che si agita insieme ad un forte senso della corporeità che a me pare si percepisca anche nella fatica che gli esercizi richiedono. Interessante il rovesciamento della gerarchia dei sensi rispetto all’impianto del Medioevo così come della Riforma, dell’ascolto centrale, seguito dal tatto e poi dall’occhio che ha sempre un collegamento con il desiderio della carne. La civiltà cristiana è infatti centrata sull’ascolto della parola divina piuttosto che sulla vista, che è il senso della conoscenza, prioritario per il mondo greco. Ignazio riporta la vista al centro intesa come una capacità di visualizzazione dell’immagine interiore ed in questo mi sembra straordinariamente moderno.
Seguendo le immagini il percorso si snoda lungo 4 settimane dedicate, rispettivamente, alla contemplazione dei peccati; alla vita del Cristo fino alla domenica delle Palme; alla Passione; quindi alla Resurrezione, ascensione e ai tre modi di pregare.
L’immagine che ne esce è una grande scena teatrale sul palcoscenico dell’anima attraverso una faticosa anamnesi spirituale – si chiede all’esercitante di ripercorrere come in psicoanalisi la propria vita dalla nascita ad oggi attraverso i peccati commessi e le sensazioni che hanno determinato in noi – non scevra dall’aspetto emozionale del proprio vissuto.
Una grande rappresentazione catartica che forse preannuncia il teatro barocco.

Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola 
con un saggio di Roland Barthes
TEA edizioni – Religioni e miti

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