mercoledì 10 giugno 2015

“Un pedigree” di Patrick Modiano

Ilaria Guidantoni Martedì, 09 Giugno 2015

Puntuale come un’autobiografia, narrative come un romanzo l’opera Un pedigree del premio Nobel Patrick Modiano, punge, incisiva, con la sua malinconia diffusa, il dolore senza rabbia di un figlio non amato che non serba rancore. Un libro originale, con le sue frasi brevi e il tono quasi distaccato di chi non scrive una confessione, né ha alcun desiderio compiacente di raccontarsi, né attende una catarsi ma, come scrive, vuole liberarsi così con una vita non sua, farla finita.

Il titolo che potrebbe essere rovesciato in “senza un pedigree”, nel senso che la storia complessa del protagonista non rappresenta un patrimonio, forse piuttosto un fardello del quale liberarsi. In un certo senso nemmeno un peso. Ovviamente psicologicamente non è possibile ma sembra che la vera eredità lasciatagli dai genitori sia l’indifferenza, la loro assenza, lontananza. Il titolo pare rendere omaggio ad un altro romanzo autobiografico, Pedigree (1948-1952) di Georges Simenon. Romanzo e non semplice autobiografia, perché narrazione che non si riduce al diario intimo, divenendo l’affresco di un’epoca vissuta attraverso gli occhi di un bambino e la rimozione del padre: l’essere ebreo come una colpa e dunque una condanna. Non solo, Modiano ci regala una visione particolare di Parigi, quella dell’ottobre 1942 quando due persone si incontrano, i suoi genitori, dalla cui unione nasceranno due figli, uno dei quali muore prematuramente, lasciando una grande solitudine nel giovane Patrick.

Ma l’autore non indugia sui sentimenti, sull’introspezione; si fa voce e lascia che il lettore faccia il suo viaggio. Parigi che esce da un sogno, non un incubo, ma una Parigi in qualche modo del sottosuolo, di alcune periferie, degli alberghi senza nomi.

La recensione integrale su Saltinaria.it

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