giovedì 13 giugno 2013

Un viaggio in Algeria che diventa un'anamnesi familiare e storica



“Rue Darwin”
di Boualem Sansal
Romanzo autobiografico dello scrittore algerino, nato nel 1949 che vive a Boumerdès vicino Algeri. Tra le sue opere di ricordano “Le village de l’Allemand”, che ha conquistato il Grand Prix RTL-Lire 2008, il Grand Prix SGDL del romanzo e il Grand Prix della francofonia 2008. “Rue Darwon£, sua ultima opera, ha ricevuto il premio del Romanzo arabo nel 2012. Per molti aspetti mi ha ricordato “Il primo uomo” di Albert Camus, forse la suggestione dovuta anche al recente film omonimo. Pagine che scorrono veloci, fluide con una lingua piana, nitida e ricca di espressioni, come il migliore eloquio francese della modernità classica, come oserei definire lo stile; oltre la classicità un po’ démodé e scevra da quell’incedere farcito di espressioni della lingua corrente e quel procedere di eccessiva sintesi della letteratura più contemporanea. Sembra che le ex colonie – mi sia perdonata l’espressione, abbiano distillato e raccolto la parte più elegante della lingua francese unendola alla narrazione, al piacere della conversazione che è sopravvissuta oltre la sintesi e la virtualità metropolitana.
Un romanzo psicologico che tocca le corde più difficili, quella dei rapporti così naturali quanto difficili da svelare e da ammettere, il cuore della vita, i legami familiari. Già nella premessa si comprende lo spirito. Il tema è quello della verità che si dà per scontato ma che non è certa come tutti gli altri principi fondamentali della vita, le categorie filosofiche del bene, male, Dio, tempo e morte. Tutto salvo la verità. Nell’ultima parte del romanzo, la più densa, a tratti struggente anche senza romanticismo, né cinismo che caratterizza la durezza di molti autori contemporanei francesi, si svela il nucleo: in famiglia spesso la verità si tace perché – si intuisce ma l’autore non lo dice – fa male. Si preferisce la pace. Forse sarebbe meglio dire il quieto vivere. Tutto comincia con un appello che il protagonista sente forte, “Va, torna in via Darwin”, ad Algeri, lasciando Parigi per recuperare le origini, quelle profonde e quel nucleo dell’io mai conosciuto. L’occasione è una delle esperienze più dure e naturali della vita che spesso raccontano più della vita stessa: la morte dei genitori che sembra non si conoscano bene fino a quel momento. Tocca al protagonista che ha perso il padre tanti anni prima (lo si saprà verso la fine del libro) di stare vicino alla madre e di riunire i fratelli, quelli con i quali scopre di avere ben poco a che spartire, un senso di strana e disagevole estraneità. La morte della madre amata da vicino avendo rinunciato il nostro autore ad una famiglia, apre per lui un momento dolente e una nuova via. Gradualmente scenderà nelle viscere di Algeri come nell’utero materno, un’angoscia che non risparmia la rabbia, il senso di spaurimento di fronte a quell’Algeria che non riconosce più e della quale non ci risparmia l’orrore e la miseria, come quella del quartiere più popolare, Belcourt. Yazid ha il coraggio di guardare in faccia per la prima volta la verità in un affresco che vede una figura dominare la storia, Lalla Sadia, detta Djéda, l’onnipotente nonna che ha costruito la propria fortuna su un bordello. La scoperta più difficile sarà quello di ritrovarsi e ricucire l’essere figlio di due madri e di nessun padre – che al terzo matrimonio ha dovuto ammettere la propria sterilità ma senza farne pubblica professione – pur portandone il nome, la tribù dei Kadri. E’ anche la storia di grandi donne del mondo arabo, forti e facitrici a dispetto delle apparenze della realtà, sebbene il ceto sociale ne consacri il successo o, altro contrario, la miseria ne decreti il silenzio senza possibilità di aver voce in capitolo. E’ la donna che lo ha allevato a invitarlo a ricongiungersi all’altra madre, quella naturale che morirà a sua volta. L’autore si riconcilia con la vita alla fine consapevole che ognuno dei personaggi ha fatto tutto il possibile in base a quello che la vita gli ha consentito e offerto; solo il rammarico di aver aspettato troppo tempo per parlare; il rimorso di non essere riuscito a dire mentre erano ancora in vita “Ti voglio bene, mamma”, a nessuna delle due donne; e una convinzione: che sia giunto il momento di smettere di vivere per la verità, quella pubblicare, accettando solo la propria, quella del momento. Un testo semplice e lacerante come gli affetti più profondi della vita, sul quale vale la pena di meditare.


“Rue Darwin”
di Boualem Sansal
Folio

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