venerdì 14 marzo 2014

"La conchiglia" I miei anni nelle prigioni siriane, di Mustafa Khalifa

Mercoledì, 12 Marzo 2014 Ilaria Guidantoni

Un libro doloroso, una confessione lunga tutto il racconto, una narrazione spietata per la sua delicatezza che cozza contro l’atrocità, la perversione umana priva di qualsiasi senso, almeno nell’idea generale che si dà alla parola senso. Dall’incredulità per un errore giudiziario, per dirla con un eufemismo, all’ineluttabilità del male che colpisce senza riguardo, ad un calvario che sembra senza fine. Una scrittura piana, intrisa di profonda umanità ma quasi distaccata, filtrata dalla memoria che anestetizza per sopravvivere. E’ un libro che non può essere descritto con le categorie letterarie, difficile anche da consigliare. Non si tratta di una lettura quanto di un itinerario spirituale, un esercizio dentro la sporcizia dell’uomo, dentro il coraggio di una persona che non si sente un eroe, ma che spaesato vuole solamente restare solo ed essere lasciato in pace. Una testimonianza che diventa una riflessione su noi stessi, sull’umanità, le sue capacità grandiose e i suoi abissi, nella consapevolezza che non c’è limite al male e che la stirpe degli aguzzini non morirà.

Ho letto questo libro per curiosità, per interesse e per aprirmi un mondo che non conosco né in modo diretto né mediato, quello della Siria. La presentazione alla Fondazione Dante Alighieri di Roma mi ha offerto l’occasione di un primo approccio, con la figura discreta dell’autore che ha parlato solo in arabo, con una voce calda e pacata, ed uno splendido accento. Avendo letto la sua biografia, mi chiedo oggi perché non abbia parlato in francese, per quanto l’arabo sia la lingua della sua terra e della sua scrittura. E’ difficile raccontare questo testo che, malgrado la crudezza, soprattutto della prima parte, il senso di soffocamento e di sopraffazione che si vive dalla parte della vittima, invita il lettore ad andare avanti, ma non spinge alla morbosità né travolge; lascia semplicemente che sia.

Nelle prime decine di pagine ho sentito lo sforzo di compiere un esercizio spirituale interiore faticoso e doveroso, il rendere omaggio alla memoria e alla testimonianza dell’ingiustizia subita. E’ un carico duro da sopportare e non mi sento di consigliarlo o di suggerirlo, ma di testimoniarlo a mia volta perché non credo si possa invitare, tanto meno obbligare qualcuno, alla preghiera o al digiuno o alla penitenza. 

La storia è esigua nella trama, partendo da Parigi dove un giovane Mustafa Khalifa lascia la donna che ama e che vorrebbe sposare per rivedere il proprio paese, ignaro forse del pericolo al quale va incontro malgrado sia messo sull’avviso. Un errore, una soffiata per inezie, forse una battuta, una frequentazione sbagliata, per altro in terra straniera, in Francia appunto, lo condanna, lui cristiano e ateo, con l’accusa di essere vicino ai Fratelli Musulmani avversati dal Regime siriano. 

La recensione integrale su Saltinaria.it

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