domenica 26 febbraio 2012

Il gioco degli angeli



di Ljliana Habjanovic Diurovic

Ho conosciuto Il gioco degli angeli, titolo suggestivo ed insolito come l’argomento che tratta, in occasione della settimana della cultura serba a Roma (organizzata in termini di comunicazione da Zetema) e ho scoperto un mondo poco noto, seppure geograficamente vicino e, forse, più legato di quanto si immagini al nostro, andando a ritroso nella storia medioevale. Il poderoso volume ricorda in certo qual modo l’idea di una saga familiare anche se il racconto serra le file intorno ai protagonisti del nucleo familiare, pur numeroso, divenendo un vero inno all’amore coniugale. Le pagine scorrono piane e veloci malgrado l’impianto del romanzo storico intrecciato al romanzo d’amore. In questo caso tra l’altro i due generi sono funzionali l’uno all’altro nello stile quanto, soprattutto, nel contenuto. In quell’epoca per i nobili la Ragion di Stato era, se possibile, superiore all’etica e ai sentimenti familiari; pertanto la commistione diventa difficile da evitare. In questo libro il valore aggiunto in uno stile classico, con periodi ampi e costruiti a regola d’arte - talora frasi brevissime, di una sola parola, che ripetendosi si ampliano e si approfondiscono – è dato dal punto di vista, orientato sulla protagonista, la principessa serba cristiana ortodossa, Miliza, discendente della santa dinastia dei Nemanidi che tanta parte ebbe nella storia della Serbia medioevale. Al riguardo l’attenzione è all’aspetto psicologico, intimo, con particolare cura per l’analisi della sofferenza che nel romanzo sembra tutta al femminile. Ne esce un personaggio di grande fede e con una profondità di sentimenti rara, unita ad una forte determinazione e volontà, sebbene non abbia nulla di edulcorato. Nel suo essere genuinamente innamorato in modo pieno, completo e anche accorto per il marito Lazzaro, restando più moglie che madre, è ‘tremendamente’ moderna, quanto contraddittoria mamma imperfetta, talora più regina che custode dei figli. Altro tema da menzionare è quello del divino, così prossimo all’umano e non potrebbe essere diversamente dato che si parla di angeli custodi: il libro si sarebbe potuto intitolare anche la voce degli angeli, o il ruolo degli angeli o ancora, gli angeli visti, sentiti da vicino. E, ancora una volta è soprattutto l’angelo di Miliza che ci accompagna nel lungo cammino da quando poco più che bambina sogna gli angeli e i motivi premonitori, rivelazione del suo amore e destino legato a Lazzaro (futuro marito); fino all’angelo della morte che la guida nel suo ultimo viaggio, ormai serena, divenuta suor Eugenia. E’ questa la nota più originale del libro e credo di poter dire della sua eccezionalità nella letteratura. Anche in questo spazio, in certi momenti molto dotto, nella distinzione tra le varie sfere di angeli e i loro compiti, qualche dissertazione teologica appena accennata, il romanzo non si arena mai in una scrittura a tesi o didascalica ma ci fa partecipare del vissuto e dell’emozione dell’incontro con l’angelo, che potrebbe essere anche tradotto laicamente in ‘coscienza’.
Per quanto riguarda il primo dei temi, quello storico, sarebbe interessante poter approfondire la corrispondenza e le scelte del dialogo tra fantasia e realtà nella ricostruzione degli eventi, luoghi, costumi che solo chi conosce la storia di quel paese è in grado di fare e valutare. Quello che mi sembra prezioso è però che il tema dello scontro per il possesso dei territori, l’assurdità della guerra religiosa (contro i turchi), lo scontro di civiltà, attualizzando il linguaggio, sono categorie universali che si ripetono e che l’autrice riesce a rendere temi classici sui quali vale la pena tornare a riflettere. Così è il caso dell’acerrimo conflitto tra i due fratelli Stefano – primogenito destinato a guidare il paese, ad essere principe – e Vuk, educato ad essere secondo e mai rassegnato al non protagonismo. Questa è una delle vicende che personalmente mi ha colpita maggiormente del libro e che mette in luce a mio parere una distorsione del concetto di fede e affidamento quale sottomissione ad un destino. La madre si piega a quanto interpreta come volere divino ma forse oggi potremmo leggerlo come la manipolazione che gli uomini mettono in atto della religione (come se in una guerra ci fosse una parte giusta che rende lecito il nostro combattere). Miliza, infatti, in un frangente con quella che io definisco, crudeltà, cerca di convincere Vuk a cedere alla volontà del Signore che ha sicuramente stabilito il meglio in tal senso. Se lo avesse voluto principe, in effetti, lo avrebbe fatto nascere per primo. E’ la stessa logica inflessibile della dialettica della storia, del predominio dell’essere sull’esistente, del tutto sulla persona (all’origine poi di totalitarismi di varia natura) a far precipitare Miliza nel dolore per non partorire che figlie femmine e a trascurare l’ultima nata che un sogno ingannevole le aveva fatto credere sarebbe stato l’erede agognato. Il testo indubbiamente si nutre anche di una cultura e un sostrato sociale tipicamente medioevale nell’approccio con la religione che sconfina in una credenza magica, seppur la finezza psicologica dell’autrice lo renda decisamente moderno. Forse i passaggi più riusciti sono proprio quelli nei quali emerge il conflitto interiore della protagonista, del suo essere sul crinale della vita che impone una scelta continua, di fronte alla quale anche l’uomo profondamente religioso non sa arrendersi.
La scrittrice, nata nel 1953 a Krusevac in Serbia (dov’è ambientata la vicenda) – forse destinatario vero del romanzo (che potrebbe essere riletto come un inno d’amore alla sua patria) - è molto nota nel suo paese e profondamente amata; super premiata, questo libro è stato riconosciuto il romanzo straniero più venduto in Russia nel 2010.

Il gioco degli angeli
Ljljana Habjanovic Djurovic
SECOP Edizioni
20,00 euro

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