lunedì 30 novembre 2015

“E se fossi morto?” di Muhammad Dibo

Scritto da  Ilaria Guidantoni Sabato, 28 Novembre 2015

Un non-romanzo, una lunga lettera aperta alla madre e a chi non conosce la Siria, un paese dove la morte sembra più naturale della vita. E ancora, una riflessione interiore e una condivisione che da una vicenda di stra-ordinaria quotidiana, invita a riflettere sulla banalità del male, sulla paura, sulla libertà e sul condizionamento degli affetti.

E’ un libro che sorprende con un inizio che pare quasi un noir, per proseguire con un racconto sotto forma indiretta di lettera aperta alla madre, ma anche un diario interiore, sulla propria storia di prigioniero politico, incarcerato e torturato, che diventa, per certi aspetti, un lungo servizio giornalistico sulla Siria di oggi; per altri, un saggio in forma di confessione sul tema della dittatura e del carcere come fabbrica della paura, sull’alimentazione di una società della diffidenza e sulla condizione degli intellettuali, bersaglio in quanto temuti oppositori della fabbrica del consenso sulla quale si regge la fragilità di un potere cieco e senza forza; infine, una riflessione esistenziale e filosofica sulla capacità dell’uomo di resistere alla paura, sul valore del tempo della coscienza che per varie ragioni è annullato dalla detenzione. E’ quasi con ironia che Muhammad Dibo evidenzia come in Siria da troppo tempo non nasca un filosofo, in grado di seguire il corso della storia e presentare orizzonti nuovi. Da qui nasce la crisi di un paese di dissidenti o servitori del potere. Interessante lo scandaglio psicologico dei vari profili, acuto e incisivo, che mostrano in Dibo non solo il piglio del giornalista quant’anche la sensibilità del sociologo e dell’osservatore della condizione umana secondo la pietas. Ci sono gli assassini, che non sono assassini in ogni aspetto della loro vita perché hanno dei figli che amano magari e l’autore si interroga su chi possa proteggerli affinché su di loro non si abbatta la ruota tragica delle colpe dei padri che ricadono sui figli. Ci sono gli intellettuali, spesso a loro volta confusi, per la vergogna della morte altrui, forse per un senso di impotenza e di doppia responsabilità: civile verso la società, affettiva verso i propri cari. Due sponde che non trovano conciliazione nel nostro autore.

La recensione integrale su Saltinaria.it

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