mercoledì 14 novembre 2012

"Le rivoluzioni dall’altra parte del mare" di Domenico Quirico

Un saggio di grande pregio, scritto con maestria linguistica, qualche sapiente neologismo, la scorrevolezza dello stile giornalistico, senza dimenticare la lingua poetica soprattutto nella prima parte dell'opera. E' bello ascoltare una lezione di umiltà, pur nell'accento critico rispetto all'imbastardimento dell'informazione collettiva, senza rabbia ma con l'argomentazione di chi conosce da vicino la realtà. Pur non conoscendo questo insigne collega, che è stato a lungo in Nord Africa come inviato del quotidiano “La Stampa”, non me lo immagino seduto comodamente alla sua scrivania o nei salotti del giornalismo ma in prima linea mimetizzato a provare e rischiare cosa significa stare “dall'altra parte”. L'analisi della primavera araba parte da una riflessione che credo accomuni tutte le rivoluzioni, il kairòs, il momento giusto, la scintilla che l'inconscio collettivo individua più o meno inconsapevolmente o comunque sa cogliere. Perché è evidente che in Tunisia, ad esempio, da dove tutto il movimento tellurico del mondo arabo è partito, c'erano stati moti in passato ma sembrava incredibile che potesse esserci una deflagrazione. Il fatto è che a volte i tempi non sono maturi. Le pagine della “Primavera araba” mi ricordano a tratti quelle mirabili di “Sha in Sha” di Ryzard Kapuscinski, un grande documento storico ma anche un involontario – questo il pregio, di non essere pedanti e con tesi prestabilite - saggio di metodo per capire quello che ci circonda. Tra le riflessioni sulla rivoluzione tunisina, vorrei cogliere alcuni elementi che paiono anche a me significativi, ovvero che, comunque andrà la costruzione della democrazia, nulla sarà più come prima; che la rivoluzione non sia stata condotta in nome del pane ma della dignità e che la vera rivendicazione sia hurrya, libertà. E ancora, la spontaneità di questa rivoluzione nata dal basso, dai giovani, attraverso la rete Internet senza la personalizzazione di un leader. Un altro elemento di questo testo che mi sembra significativo è mettere in parallelo diversi paesi arabi che afferiscono al mondo Mediterraneo, senza rischiare però facili omologazioni, come è il caso dell'Egitto. In effetti l'autore evidenzia il vizio d'origine che mina la costruzione della democrazia nei paesi arabi, il tentativo di forgiare i partiti calandoli dall'alto in seguito a complotti e congiure, frutto dell'intrigo e della menzogna. Gli stati moderni sono nati tutti così e non con le rivoluzioni. Ecco perché il 2010 potrebbe essere un anno spartiacque, nascendo da rivoluzioni e per di più volute dai giovani e dal popolo. La via alla modernità è segnata soprattutto dalla Tunisia di Bourghiba, una sorta di dittatura dolce, con un capo dello Stato che guida il popolo „disordinato‟ verso mete a cui tutti aspirano: modernità, istruzione e sanità in particolare, laicità e un socialismo temperato. Ma gradualmente il padre diventa padrone e tiranno. Le storie poi nello specifico sono diverse, Ben Ali ad esempio non era un soldato ma un flic, un poliziotto, in uno stato molto vicino all'Europa anche per mentalità e con poche risorse naturali. La Libia invece, è seduta sull'oro ma tutto appare vecchio, sporco e povero. In Algeria, dove la rivoluzione non è riuscita a fare breccia, ci sono ancora tribù e una società che si è gradualmente allontanata dall'Europa dagli Anni Sessanta del Novecento ad oggi. Tra l'altro lo Stato resta il primo datore di lavoro. In Marocco lo Stato è soprattutto il dispensatore di servizi ed è l'unica monarchia di questa vasta area. In ogni caso la base dello stato arabo resta la tribù, anche se mi sembra che in tal senso la Tunisia faccia eccezione. Rispetto a tal quadro, Quirico approfondisce l'islamismo e il terrorismo islamico, con una considerazione che vorrei sottolineare e che condivido a dispetto di quanto si sente dire dai più. L'attivismo islamico resta un fenomeno soprattutto urbano e non interessa solo il proletariato delle periferie. Nella lunga analisi c'è uno spazio dedicato ad un fenomeno che si conosce poco e che è la penetrazione dell'islamismo tra i Tuareg, un popolo nomade in via d'estinzione che mi pare originale. Il saggio chiude il cerchio sull'imprevedibilità delle rivoluzione e, aggiungerei, sulla disattenzione anche da parte di coloro che dovrebbero essere in qualche modo degli addetti ai lavori su quello che ci circonda. Non so se consola il fatto che sia stato sempre così. Mi dispiace invece, in sintonia con Massimo Quirico, che l‟Occidente non abbia colto la straordinarietà di quanto è riuscito a fare il popolo tunisino. “Ci pensate cosa abbiamo fatto, dannazione, e da soli, senza aiuti? Abbiamo sollevato il carico più pesante del mondo, abbiamo separato la verità dalla menzogna… Provate voi occidentali a farlo! Sono cose che accadono nelle fiabe, e questa forse lo era.”

Primavera araba
Le rivoluzioni dall’altra parte del mare
di Domenico Quirico
Bollati Boringhieri
14,00 euro

Nessun commento:

Posta un commento