sabato 25 febbraio 2012

Appunti di un venditore di donne


di Giorgio Faletti

Lo scambio di libri è un dialogo con un mediatore, il libro stesso e l’autore. Un modo per aprire nuovi mondi e tessere reti. Uno dei vantaggi di ricevere un libro in dono è di avvicinarsi a letture che per inclinazione o per conoscenza non si sceglierebbero. In questo caso il vantaggio per me è stato duplice perché l’ho letto subito dopo un altro libro che mi è stato regalato, in quel caso dall’autore stesso, “Mira” di Oliviero La Stella, recensito in queste stesse pagine. Non è casuale l’accostamento perché in fondo raccontano vicende analoghe di potere e sesso, di prostituzione e disperazione, di sfruttamento, avidità, lusso e miseria insieme in due grandi città italiane, Roma e Milano. Ma con una profonda differenza: Mira è anche una fiaba che ci consente di sognare perché ristabilisce l’ordine delle cose o almeno un ordine, forse non quello delle regole ma almeno quello del cuore. “Appunti di un venditore di donne” è un romanzo spietato che racconta una Milano livida e sotterranea, quella dei giorni del sequestro Moro e preannuncia la Milano da bere con quella collusione che è di sempre – solo che talvolta dilaga e si fa più manifesta – e che per questo si dà per scontata e per accettata. E’ la Milano della collusione del potere con il sesso e un po’ alla deriva. E’ un mondo con volti noti ma anche anonimi perché alla fine sono tutti uguali e non c’è nessuno che si prende la briga di star fuori dal coro, di rischiare l’anima e forse a nessuno l’autore sembra affezionarsi (mentre c’è una vicinanza discreta e speciale tra Oliviero la Stella e Mira). Lo stesso protagonista partendo per un altrove molto lontano anche simbolicamente non si illude di trovare altro che fotocopie del mondo alle spalle-
Giorgio Faletti si muove nella città con la naturalezza di chi l’ha vissuta nella quotidianità e chi scrive – che ha abitato il quartiere della vecchia Fiera campionaria per anni – vi ha ritrovato vie, luoghi e indovinato che forse dietro l’Ascot Club si nasconde il famoso Derby. Sono così veri questi posti proprio perché non hanno nulla di oleografico, di noto al di fuori di chi ci è stato dentro.
Le prime righe portano al centro della vicenda del protagonista, soprannominato Bravo, evirato: sono le conseguenze dell’amore ad averlo reso un venditore di donne eppure la storia non si rivela nella sua interezza che nelle ultime pagine. Il corso degli avvenimenti si svolge con aderenza e fedeltà a quegli anni nel linguaggio e nei particolari, con un’anima noir arguta. Un giallo nel quale corrono crittogrammi, alcuni dei quali ci sono rivelati. Forse sono una metafora della personalità e della storia del protagonista. Ma non è dato sapere fino in fondo perché l’autore ha scelto di inserirli. Nella lettura si è trascinati a cercare di capire non tanto cosa accadrà nei fatti ma dentro i personaggi eppure non c’è soluzione, o meglio risoluzione né redenzione. Ci sono solo superstiti in cerca di un equilibrio precario, che si godono qualcosa che domani potrebbe non esserci più, ma senza l’affanno o la tensione a cogliere l’attimo, piuttosto una certa indolenza. Faletti ci dice che su un’isola, destinazione finale di Bravo e di molti altri, si è tutti un po’ superstiti, uomini anti eroi che non hanno trasformato il dolore in proposta. Viene da chiedersi: e che ne è dell’autore? O piuttosto chi è veramente? Cosa c’è delle sue notti milanesi di quegli anni? Non c’è in chi scrive nessuna curiosità morbosa, né ricerca biografica quanto il desiderio di capire il suo punto di vista, il suo messaggio. Ma ci sarà la volontà di lasciare un messaggio intenzionale al lettore o solo la voglia, il piacere di raccontare una storia che sia tutt’al più una testimonianza, cruda, diretta e senza didascalie come la vita, nel suo linguaggio talvolta volgare e assolutamente ‘di moda’?

Appunti di un venditore di donne
B.C. Dalai editore

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