venerdì 21 marzo 2014

“Sole a Teheran” di Fereshten Sari

Giovedì, 20 Marzo 2014 Ilaria Guidantoni

Un romanzo di iniziazione, un romanzo della memoria, un romanzo verità. E’ tutto questo, ma non solo e non necessariamente “Sole a Teheran”. L’Iran e ancor più la sua capitale sono onnipresenti, come il fantasma dello Sha, la rivoluzione ‘culturale’, le persecuzioni, gli studenti infervorati e puniti dal regime, il mito del comunismo che tramonta, la fede che anima i cuori e poi li distrugge, la condanna velata di ogni potere che quando si incardina diventa oppressione.

Il testo è un affresco dei costumi che cambiano a partire da quei particolari di quotidianità che dicono molto di una società: cosa mangia, come si veste, il fazzoletto colorato o l’hejab e che poi diventa nero o al limite blu; la musica che si tace; i programmi televisivi che annullano l’intrattenimento e ad un certo punto ricominciano, da Pinocchio. E ancora i libri, proibiti, bruciati, ammassati nelle discariche per non incorrere in pericolo. La censura e la paura che cambia gli animi, le relazioni e perfino gli amori, mutilandoli.

Il libro è anche la storia di due amiche, protagoniste della storia. Lo stile piano dà una certa leggerezza e quasi distacco alla vicenda, come se la vedessimo passare sullo sfondo, nel suo tormento con un velo di malinconia. Sono trent’anni di vita, centrali, nella storia delle protagoniste, cruciali per l’Iran, attraversato da due rivolgimenti e dalla guerra con l’Iraq di Saddam Hussein e attraverso una serie di feedback, si oscilla da ieri a oggi, dal quel 1978, anno spartiacque – così ben descritto da Ryzard Kapuscinskij in “Sha-in-sha” – al 2009, alla contemporaneità dove protagonisti sono i new media e gli adolescenti che stanno attaccati ai cellulari e a ogni sorta di ritrovato tecnologico per restare in rete. Trent’anni che attraverso i figli delle protagoniste appaiono così lontani e pure così vicini: la passione, il disagio, l’emozione e l’entusiasmo che non cambia anche se viene declinato in modo diverso di un’età fluttuante, tormentata, che ha tutta la vita davanti, l’adolescenza. “Sole a Teheran” è un inno sommesso all’adolescenza perché quando la si vive non ci si accorge del sapore che resta dentro e forgia quegli adulti che diventiamo, come Setareh, attivista politica che nella vicenda dell’incarcerazione del figlio per ‘disobbedienza’ politica rivive la propria passione, ma dall’altra parte della barricata.

La recensione integrale su Saltinaria.it

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