martedì 29 aprile 2014

"La stella di Algeri" di Aziz Chaouki

Sabato, 26 Aprile 2014 Ilaria Guidantoni

Il libro mi è stato suggerito dal suo autore, singolare se la circostanza non fosse stata essa stessa curiosa. Mi è stato chiesto di condurre la serata nella quale sarà protagonista l’algerino Aziz Chaouki a Piacenza al «Festival Dal Mississipi al Po» che si terrà a fine giugno. Sono così entrata in contatto a distanza con questo expatrié musicista jazz e romanziere che ho approfittato di intervistare sulla situazione algerina, rispetto alla quale mi ha detto che le sue pagine raccontano meglio delle sue parole. Ed è stato proprio così.

Nato ad Algeri nel 1951 e residente a Parigi dal 1991, Aziz Chaouki è drammaturgo, poeta, romanziere francofono anche se nel suo mondo si mescola il mondo e la cultura araba con quella francese, appunto, e berbera. Con "La stella d’Algeri", premio Flaiano, romanzo in qualche modo d’iniziazione, racconta una generazione perduta di giovani algerini. Il romanzo è scritto in uno stile secco, asciutto, che riproduce il linguaggio della strada, con punte di lirismo che ricordano il linguaggio contraddittorio e stridente di Jack Kerouack. Splendido l’inizio “Nero e ampio, un velo copre il volto del cielo, maschera severa sugli occhi del sole, gli orpelli d’Algeri sono spariti. Nuvole gonfie di fiele, pioggerella ocra, aria da terremoto.. Anche l’orizzonte è sparito”.

La vicenda si ambienta ad Algeri, nei quartieri popolari della Cité de mer et soleil, el-Hamma, Belcourt, Bab el-Oued senza inquadrature oleografiche o caricaturali, ma in prese dirette: sembra di camminarci dentro e dallo sguardo ad altezza d’uomo si indovinano prospettive, volti, profili di palazzi. La storia racconta le ambizioni di Méziane, nome d’arte Moussa Massy, giovane cantante di musica cabila moderna che sogna un futuro di fama e gloria; ma soprattutto di andarsene dal proprio paese che non ama, parte di quei giovani pronti ad attraversare il Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna, i cosiddetti brûleurs di frontiere. Il giovane Moussa ha una voce bella e coinvolgente e il desiderio di cantare in quella che ritiene la sua lingua, il berbero, un’identità spesso schiacciata in Algeria che pure non è tradizionalmente araba. La vita del protagonista è dura in una famiglia di quattordici persone in tre stanze. Fuori l’islamismo che dilaga e pochi amici fidati che fanno il tifo per lui sono gli unici scampoli di evasione.

La recensione integrale su Saltinaria.it

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