"Documento 127"
di Carlo Coccioli
Confesso di non aver mai sentito il nome di Carlo Coccioli che ho
scoperto essere stato anche collaboratore de' "Il Corriere della Sera",
prima di aver aperto questo libro. Documento 127 è stato l'omaggio di un
librario autentico - di questi tempi la precisazione è d'obbligo,
Franco Ferruccio, della libreria Erasmo di Livorno dove ho presentato il
mio libro "Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società
che cambia". La motivazione di questo cadeau è stata la risposta al mio
desiderio di scoperta di persone e percorsi tortuosi e non troppo noti,
soprattutto quando intrecciano culture diverse. Il titolo, che l'autore
spiega verso la fine del libro, allude a alla forma non facilmente
etichettabile dello scritto: autobiografia, diario, confessione, forse
documento...un po' tutto senza essere nessuna di queste forme in modo
esclusivo. Il numero lo si deve ad una complessa 'alchimia' simbolica e
ricercata che fa riferimento ad alcune parole ebraiche legate al
concetto di Dio. L'autore si fa suggerire questo numero da Moises
Brachfeld, ponendogli come condizione un numero tra il 100 e il 150,
corrispondente al numero dei capitoli del libro. Il primo pensiero era
stato 120 alludendo alle 12 tribù di Israele. Personalmente lo avrei
preferito: 12 è il mio numero preferito e non c'è un perché. Mi pare che
in ogni caso il valore stia nel gioco, nella ricerca, più che nel
risultato e nel traguardo. Questa dimensione a dire il vero attraversa
tutte le pagine che scorrono veloci, come una corsa a perdi fiato,
insaziabile e vorace nel desiderio di sapere. La scrittura - che non so
dire se criticamente sia cosi' valida - è certamente travolgente e
trascinante.
Il racconto narra di uno scrittore poliedrico e prolifico del secondo
Novecento italiano, nato a Livorno nel 1920 e morto a Città del Messico
nel 2003, che pure ad una mia indagine empirica non risulta noto a
nessuno. Motivo in più per leggerlo. A mio parere l'aspetto più
interessante è il valore della testimonianza di un percorso interiore:
la ricerca disperata di Dio, l'essere 'ammalato' di Dio, qualcosa di più
viscerale dell'essere religioso; il bisogno di ritualità ed ad un tempo
il fastidio per essa. E' la storia di un cattolico, o meglio di una
famiglia cattolica, un po' mangiapreti e un po' distante, con una radice
ebraica che gradualmente si avvicina al recupero radicale della
tradizione: fino alla conversione all'ebraismo. E' un percorso lento e
tutt'altro che lineare fino all'affermazione del Cristianesimo e
soprattutto della chiesa cattolica, la più fragile a detta di Coccioli,
quale impostura.
Lo scrittore ha composto opere in italiano, francese, spagnolo ed è
stato lui stesso traduttore dei suoi libri. Dopo l'infanzia trascorsa in
Libia e la prima giovinezza che lo ha visto partecipe alla Resistenza
(Medaglia al Valore), lo seguiamo laurearsi all'Orientale di Napoli, fin
quando inizia, nel Dopoguerra, una brillante e contrastata, a mio
avviso, carriera letteraria. Nel 1952 esce in Francia "Fabrizio Lupo",
romanzo il cui protagonista, fervente cattolico, non riesce a conciliare
la propria pulsione omosessuale con la morale cattolica. Un contrasto
forte nella vita dello stesso scrittore e d'altronde, a mio modesto
avviso, il tema della sessualità attraversa in modo lacerante la vita di
qualsiasi credente, cattolico in modo particolare. A seguito del
clamore suscitato da quest'opera - che in Italia verrà tradotta solo nel
1978 - Coccioli si trasferirà a Città del Messico in preda ad una crisi
molto profonda. Sarà questo il periodo nel quale scriverà le sue opere
più importanti tra le quali "David", finalista al Premio Campiello nel
1976 e recentemente ripubblicato da Sironi e "Documento 127" che Erasmo
edizioni ha restituito al pubblico italiano.
Le pagine corrono su due binari, tra le montagne russe dell'anima e i
frequenti spostamenti, nell'ultima fase, tra Firenze, Parigi e il
Messico. Curioso il lato domestico di questo romanzo esistenziale,
raccontato tra vicende quotidiane che scorrono con abbastanza
familiarità. Per un cristiano, come me, certamente è stata l'occasione
di un viaggio singolare alla riscoperta del popolo ebraico da un ebreo
che cerca se stesso per arrivare al "Processo a Dio" sulla strage degli
innocenti (titolo di uno splendido spettacolo con Ottavia Piccolo), agli
orrori della storia bistrattata dai cristiani perfino con più acredine
che da parte dei musulmani, almeno in Spagna, fino al paradosso della
fede nell'ebreo Gesù; e ancora la ricerca di cosa sia ebraico: la razza,
come i più affermano? E che cosa hanno in comune, si chiede Coccioli,
un ebreo etiope falasciot con uno spagnolo sefardita? La lingua forse
che molti neppure conoscono? O ancora la religiosità? E gli atei, che
sono molti tra gli ebrei eppure c'è un comune denominatore, quasi un
ateismo ebraico che ha una sua cifra distintiva, sembra dirci. Il popolo
ebraico, è o almeno una sembra una risposta non una definizione, è un
destino, l'attesa di una promessa e rassegnazione insieme; ma è voglia
di vivere. Purtroppo, secondo Coccioli, ad un certo punto il venir meno
della sete di vendetta ha schiacciato questo popolo.
Un testo vivo che conferma, a mio giudizio, il valore della tradizione
orale, del racconto che arriva attraverso la storia delle emozioni di un
bambino che si fa uomo e che nessun testo di saggistica riesce ad
eguagliare.
Documento 127
Carlo Coccioli
Edizioni Erasmo
18,00 euro
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