mercoledì 1 maggio 2013

Un autore da riscoprire, incontrato per caso, Carlo Coccioli


"Documento 127"
di Carlo Coccioli


Confesso di non aver mai sentito il nome di Carlo Coccioli che ho scoperto essere stato anche collaboratore de' "Il Corriere della Sera", prima di aver aperto questo libro. Documento 127 è stato l'omaggio di un librario autentico - di questi tempi la precisazione è d'obbligo, Franco Ferruccio, della libreria Erasmo di Livorno dove ho presentato il mio libro "Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia". La motivazione di questo cadeau è stata la risposta al mio desiderio di scoperta di persone e percorsi tortuosi e non troppo noti, soprattutto quando intrecciano culture diverse. Il titolo, che l'autore spiega verso la fine del libro, allude a alla forma non facilmente etichettabile dello scritto: autobiografia, diario, confessione, forse documento...un po' tutto senza essere nessuna di queste forme in modo esclusivo. Il numero lo si deve ad una complessa 'alchimia' simbolica e ricercata che fa riferimento ad alcune parole ebraiche legate al concetto di Dio. L'autore si fa suggerire questo numero da Moises Brachfeld, ponendogli come condizione un numero tra il 100 e il 150, corrispondente al numero dei capitoli del libro. Il primo pensiero era stato 120 alludendo alle 12 tribù di Israele. Personalmente lo avrei preferito: 12 è il mio numero preferito e non c'è un perché. Mi pare che in ogni caso il valore stia nel gioco, nella ricerca, più che nel risultato e nel traguardo. Questa dimensione a dire il vero attraversa tutte le pagine che scorrono veloci, come una corsa a perdi fiato, insaziabile e vorace nel desiderio di sapere. La scrittura - che non so dire se criticamente sia cosi' valida - è certamente travolgente e trascinante.
Il racconto narra di uno scrittore poliedrico e prolifico del secondo Novecento italiano, nato a Livorno nel 1920 e morto a Città del Messico nel 2003, che pure ad una mia indagine empirica non risulta noto a nessuno. Motivo in più per leggerlo. A mio parere l'aspetto più interessante è il valore della testimonianza di un percorso interiore: la ricerca disperata di Dio, l'essere 'ammalato' di Dio, qualcosa di più viscerale dell'essere religioso; il bisogno di ritualità ed ad un tempo il fastidio per essa. E' la storia di un cattolico, o meglio di una famiglia cattolica, un po' mangiapreti e un po' distante, con una radice ebraica che gradualmente si avvicina al recupero radicale della tradizione: fino alla conversione all'ebraismo. E' un percorso lento e tutt'altro che lineare fino all'affermazione del Cristianesimo e soprattutto della chiesa cattolica, la più fragile a detta di Coccioli, quale impostura.
Lo scrittore ha composto opere in italiano, francese, spagnolo ed è stato lui stesso traduttore dei suoi libri. Dopo l'infanzia trascorsa in Libia e la prima giovinezza che lo ha visto partecipe alla Resistenza (Medaglia al Valore), lo seguiamo laurearsi all'Orientale di Napoli, fin quando inizia, nel Dopoguerra, una brillante e contrastata, a mio avviso, carriera letteraria. Nel 1952 esce in Francia "Fabrizio Lupo", romanzo il cui protagonista, fervente cattolico, non riesce a conciliare la propria pulsione omosessuale con la morale cattolica. Un contrasto forte nella vita dello stesso scrittore e d'altronde, a mio modesto avviso, il tema della sessualità attraversa in modo lacerante la vita di qualsiasi credente, cattolico in modo particolare. A seguito del clamore suscitato da quest'opera - che in Italia verrà tradotta solo nel 1978 - Coccioli si trasferirà a Città del Messico in preda ad una crisi molto profonda. Sarà questo il periodo nel quale scriverà le sue opere più importanti tra le quali "David", finalista al Premio Campiello nel 1976 e recentemente ripubblicato da Sironi e "Documento 127" che Erasmo edizioni ha restituito al pubblico italiano.
Le pagine corrono su due binari, tra le montagne russe dell'anima e i frequenti spostamenti, nell'ultima fase, tra Firenze, Parigi e il Messico. Curioso il lato domestico di questo romanzo esistenziale, raccontato tra vicende quotidiane che scorrono con abbastanza familiarità. Per un cristiano, come me, certamente è stata l'occasione di un viaggio singolare alla riscoperta del popolo ebraico da un ebreo che cerca se stesso per arrivare al "Processo a Dio" sulla strage degli innocenti (titolo di uno splendido spettacolo con Ottavia Piccolo), agli orrori della storia bistrattata dai cristiani perfino con più acredine che da parte dei musulmani, almeno in Spagna, fino al paradosso della fede nell'ebreo Gesù; e ancora la ricerca di cosa sia ebraico: la razza, come i più affermano? E che cosa hanno in comune, si chiede Coccioli, un ebreo etiope falasciot con uno spagnolo sefardita? La lingua forse che molti neppure conoscono? O ancora la religiosità? E gli atei, che sono molti tra gli ebrei eppure c'è un comune denominatore, quasi un ateismo ebraico che ha una sua cifra distintiva, sembra dirci. Il popolo ebraico, è o almeno una sembra una risposta non una definizione, è un destino, l'attesa di una promessa e rassegnazione insieme; ma è voglia di vivere. Purtroppo, secondo Coccioli, ad un certo punto il venir meno della sete di vendetta ha schiacciato questo popolo.
Un testo vivo che conferma, a mio giudizio, il valore della tradizione orale, del racconto che arriva attraverso la storia delle emozioni di un bambino che si fa uomo e che nessun testo di saggistica riesce ad eguagliare.

Documento 127
Carlo Coccioli
Edizioni Erasmo
18,00 euro

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