domenica 7 luglio 2013

Ibn Khaldoun, una colonna del pensiero occidentale da scoprire




“Ibn Khaldoun
Un génie maghrébin”
1332-1406
di Smaïl Goumeziane


Un libro che racconta le opere di un personaggio, la sua vita e in particolare il suo pensiero di riferimento centrale per la cultura araba, in particolare maghrebina, segnatamente tunisina; ma anche un saggio che cerca di ricostruire l’influenza della filosofia di Ibn Khaldoun, vissuto tra il 1332 e il 1406 sul pensiero successivo, a livello internazionale con un’attenzione specifica all’Europa, di Immanuel Kant, Adam Smith, John Locke, ma anche di Karl Marx, Ricardo e Keynes; infine considerato l’inventore della sociologia, 5 secoli prima del filosofo positivista Auguste Comte.
Un testo di grande interesse quasi del tutto misconosciuto in Europa anche perché si sono dovuti attendere secoli prima della traduzione delle sue opere in arabo. Più difficile è la seconda parte dove si narrano le vicende successive alla scomparsa del grande politologo, economista e sociologo, diremmo oggi con termine dei quali fu inconsapevolmente precursore; fino all’elaborazione critica dell’influenza,  mi permetto di dire presupposta, su tanti pensatori che hanno rappresentato l’ossatura dell’Europa e in generale del pensiero moderno. Si tratta di un percorso affascinante e criticamente motivato anche se presuppone una conoscenza oltre che in particolare del pensiero dei Lumi e della sociologia e dell’economia del 1700 e del 1800, delle opere e del contesto storico nel quale operò questo grande personaggio. I suoi manoscritti e lavori furono disseminati in tutto l’impero musulmano da Fès a Istanbul, passando per Tunisi e Il Cairo e sarebbero potuti non arrivare mai a noi. In effetti è stato necessario attendere cinque secoli per la prima edizione araba de al-Muqaddima (Introduzione) all’Histoire universelle, stampata a Bulaq, vicino al Cairo. Fu poi nel 1858 che ci fu la prima edizione parigina del testo in arabo. Un visionario che racconta nei suoi testi la vita quotidiana e la mentalità del Maghreb nel tardo medioevo, descrivendone l’incipiente declino ma soprattutto cogliendone il preludio ed evidenziando come con la reconquista spagnola e la scoperta del Nuovo Mondo, il Maghreb perse la propria centralità, e in generale tutto il Mediterraneo (ndr), venendo tagliato fuori dal progresso scientifico ed economico. Un processo sul qual influirono non solo le circostanze ma anche le contraddizioni interne che pesarono negativamente. In generale, ci racconta l’autore del saggio, stupisce la sua capacità di precorrere i tempi e di avvertire la traccia della storia quale poi sarebbe accaduta.
Cardine del suo pensiero la distinzione tra le scienze umane improntate alla razionalità e le scienze religiose basate sulla fede e la sottolineatura dell’importanza della razionalità con un’enfasi che ritroveremo in Kant. Fu uomo politico, sapiente, con una vita attraversata da molte peripezie; fu economista; e filosofo nonché sociologo. Figlio di una famiglia di nomadi poi passati a vita sedentaria, colse quella che sarebbe stata l’evoluzione della società al variare dei bisogni che avrebbero portato i nomadi, cacciatori e pastori legati solo all’offerta spontanea della terra; in agricoltori, allevatori; commercianti e artigiani, a stabilizzarsi. Un processo raccontato in modo razionale e di sorprendente modernità, tanto che è stato definito ‘economista della domanda’. La sua vita rocambolesca lo ha portato a ricoprire incarichi importanti e al centro delle vicende chiave che hanno interessato il Maghreb. In qualche modo può essere considerato il primo storico del mondo arabo perché attribuì alla storia un ruolo centrale, oltre la cronaca degli avvenimenti, e la concettualizzò come scienza che studia la civiltà universale cercando una motivazione dei fatti e degli eventi oltre la semplice registrazione. Così analizza il corso storico secondo un’ ottica triplice, rispettivamente sociale, politica ed economica: il passaggio dalla società beduina a quella sedentaria; dal califfato alla monarchia; da un’economia naturale (lo sfruttamento delle risorse esistenti) ad un’economia di mercato. Singolare il pessimismo storico di Ibn Khaldoun che ne connota una grande maturità evidenziando la trasformazione come la risposta o il tentativo di una risposta all’inadeguatezza, ad un bisogno insoddisfatto con il passare del tempo e la situazione in evoluzione. Nella fase avanzata di sedentarizzazione il villaggio diventa una città e in un primo tempo si struttura e si consolida l’assabiya, lo spirito di del clan. Quest’ultimo è essenziale nel califfato che poi cede però il posto alla monarchia con la quale si affievolisce il legame di forza interiore per dar vita al primo sistema clientelare della storia. Direi che geniale è il fatto di aver percepito la struttura urbana come il futuro della civiltà e l’economia di mercato come la via dello sviluppo e allo stesso tempo foriera di contraddizioni: la crescita del soddisfacimento dei bisogni porta con sé la lotta per la difesa e l’accaparramento della ricchezza, quindi la progressiva dissoluzione dei legami tribali e di un sistema di solidarietà. Da qui un senso di pessimismo che pervade la storia. Dal punto di vista dell’analisi economica per la prima volta si procede ad una riflessione dalla parte dell’uomo e dei suoi bisogni che tende naturalmente a soddisfarli, all’inizio nutrendosi. L’uomo è però fatto per vivere in società e la società non solo è più adatta a soddisfare i bisogni quanto ne produce di nuovi, essendo questi evolutivi. In qualche modo l’uomo resterà pertanto sempre insoddisfatto. Fondamentale è il riconoscimento del lavoro umano come fonte primaria di ricchezza e la lotta per i suoi diritti e la dignità dell’attività produttiva che rappresentano concetti di forte innovazione, a quei tempi assolutamente ignoti alla riflessione occidentale o più precisamente europea. Sul tema dei conflitti e delle ineguaglianza ci sono capitoli molto interessanti in fatto di etica dove, al di là delle considerazioni mutuate dalla tradizione islamica, ci sono in nuce già i principi del socialismo storico.
La seconda parte del libro, anche se non c’è una divisione organizzativa, quanto piuttosto una successione di argomenti, si concentra sulla storia del Maghreb, soprattutto del 1400, fino alla colonizzazione dalla quale Marocco e Tunisia si libereranno nel 1956 e l’Algeria nel 1962, portando però a lungo i segni. A mio parere questa parte è di grande interesse perché riequilibria lo studio della storia dalla parte degli Europei che, al di là di ogni interpretazione critica, ovviamente di parte, toglie la prospettiva circolare mediterranea per concentrarsi sullo scacchiere continentale. Mi pare che dei tre paesi del Maghreb, il quadro tunisino sia il più completo sia perché probabilmente quello più noto anche nella sensibilità a Ibn Khaldoun, sia perché chi legge è il paese che conosce meglio nella modernità e quindi più in grado di leggerne la trama. Un personaggio certamente da riscoprire e da far conoscere fuori dai confini del mondo arabo che l’Europa anche degli addetti ai lavori non conosce. Non esiste neppure nei corsi di laurea in filosofia.

“Ibn Khaldoun
Un génie maghrébin”
1332-1406
di Smaïl Goumeziane
EDIF 2000

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