mercoledì 14 novembre 2012

"Soudain la révolution!" Géopsycanalyse d’un soulèvement di Fethi Benslama

Un nuovo scritto sulla rivoluzione tunisina che sta monopolizzando, com'è comprensibile tutto il mondo della cultura nazionale, così come è emerso anche dalla 9a edizione della primavera delle arti plastiche a Palazo Abdellia a La Marsa (Tunisi). In qualche modo la cultura ha anche anticipato la rivoluzione come i versi del poeta Basset Ben Hassan, “Ouvrez les portes”, che ha in calce "Tunisi, 10 Maggio 2010" come sottolinea l'autore di “Soudain la révolution!”, Fethi Benslama, psicanalista tunisino e docente in Francia. Per restare nella prospettiva psicologica del libro che siamo rileggendo in questo spazio, i versi del poema citato che chiudono il saggio di Benslama mostrano l'esistenza di un io collettivo, di un sentire empatico tra persone e uomini e cose. L'autore esordisce dicendo che la rivoluzione è stata improvvisa, imprevista ed è arrivata quando ormai non ci si pensava più, nel senso che come un figlio troppo desiderato spesso arriva quando si sono deposte le armi. Da tempo infatti la stessa parola rivoluzione era non solo improbabile ma inconcepibile.
Benslama scrive questo libro, come lui stesso dichiara, correndo qualche rischio proprio perché a ridosso degli avvenimenti, per sottrarre la rivoluzione alla chiacchiera e per lasciar emergere quello che dichiara l'impensabile. Questo libro non è infatti una cronaca di accadimenti, né un'opinione su cosa sia stata la rivoluzione in Tunisia o cosa sarebbe dovuta essere ma un'analisi con l'obiettivo di focalizzarsi sulla scena dello scoppio della sollevazione e dell'immaginario nel quale il potere politico ha costretto a lungo il Paese. Eppure la politica in grado di aver esercitato un potere dittatoriale ad un certo momento e in pochissimo tempo si è rivelata una tigre di carta. A pensarci bene è stata sufficiente, almeno ad una prima lettura, la ribellione di un uomo per evidenziare come quello che sembrava sopportabile è diventato insopportabile. Questa considerazione, sostiene l'autore, evidenzia una geopsicanalisi che vede l'elemento psichico articolato in una corrispondenza di individuale e collettivo. Il fatto che colpisce è che la deflagrazione è subitanea e l‟auspicato ma insperato e giudicato irrealizzabile come un sogno che si avvera.
Ora l'ipotesi principale e dichiarata di questo testo è la transizione nel mondo arabo di un disimpegno, disaffezione dal paradigma politico a quello della “égaliberté”, dell'indissolubilità dell'uguaglianza dalla libertà, per cui si può parlare di una rivoluzione sociale, interiore, dei sogni non tanto politica né ideologica, stando almeno alla proposta di Etienne Balibar, dopo - e forse a causa, ndr - che il mondo arabo ha fatto esperienza dell'essere esausto.
Nel secondo capitolo, che riprende il titolo, si evidenzia come la rivoluzione sia uscita da un angolo morto, in un paese a due velocità, con una forte separazione tra nord e sud, dove la vicenda personale di Mohammed Bouazizi è stata sufficiente allo scoppio della rivoluzione ma non per una semplice identificazione collettiva. La spiegazione è più complessa. In tal senso, come emerge chiaramente da molti testi e dall'opinione corrente tunisina ma non all'estero, segnatamente in Italia, l'analisi delle cause non può essere solo razionale e riconducibile a una prospettiva economica, che appare riduttivo. Fethi Benslama fa un'analisi acuta ed elegante, senza alcuna pedanteria, per altro con un linguaggio piano e scorrevole che invita alla lettura di un testo pur complesso e denso, della simbologia nascosta nel gesto di Bouazizi. Questo giovane è diventato una sorta di martire ma di un nuovo genere, richiamando anche nel nome il padre (bou in tunisino) azizi (caro) che non è più tale. Ora - ci fa notare l'autore - che in Tunisia e in generale nel mondo arabo il suicidio – ancor più attraverso il fuoco – è un gesto raro, anche se è stato preceduto e seguito da gesti analoghi. Questo episodio però ha avuto oltre che una sua singolarità, una forza dirompente, restituendo l'inestimabile – quello che non è più degno di stima – ad essere stimabile, trasformando l'umiliato del potere in eroe. Scendendo nell'analisi del potere corrotto l'autore che nella sua cultura spazia dalla classicità alla modernità attraversando più civiltà, cita la “Repubblica” di Platone là dove si dice che la corruzione inizia con la frode delle parole. Non è che il popolo tunisino fosse stato ridotto al silenzio ma ricondotto all'inutilità della protesta così come alcune rivolte erano state considerate degli incidenti di percorso.
L'atto del 17 Dicembre 2010 ha inserito nell'equazione, improvvisamente, un'incognita che ha ribaltato il calcolo: la possibilità di rovesciamento. Sulla scena della storia è come se si fosse dato appuntamento alla dialettica degli opposti: il primo degli uomini, Ben Ali e l'ultimo, Mohamed, l'arroganza e la debolezza. Una rivoluzione – qui è l'originalità dell'interpretazione – scatenata dal paradosso. Annullando la propria vita nella morte, Bouazizi è diventato pienezza e si è affermato come uomo in un processo di riconoscimento della propria dignità. Infatti chi si suicida non rifiuta a mio parere la vita ma le condizioni della vita ed quindi compie un atto di forte affermazione del sé, anzi di arroganza in certo modo ma questa è già un'interpretazione morale.
L'interpretazione psicoanalitica dell'individualità nella quale il popolo si è rispecchiata è l'affermazione attraverso la negazione della libertà/uguaglianza, giustizia e dignità. Allora l'atto disperato di un uomo è diventato il simbolo di una rivolta anche se – ci mette in guardia Fethi – non sembra sufficiente al deflagrare della rivoluzione. Cos'è dunque accaduto intorno a quel gesto per cui l'autosacrificio diventasse collettivo almeno idealmente? Il libro si richiama alla teoria freudiana della massa che si riconosce nel singolo ma Benslama non ritiene che in questo caso ci sia alcuna sacralizzazione religiosa o identitaria ma un'esigenza comune, la caduta del regime in nome della dignità.
Il terzo capitolo è dedicato alla figura de' Il martire, trasformazione di un modello facendo riferimento all'attualità del mondo arabo che da anni appare come un serbatoio di disperazione. E' un ragionamento complesso e affascinante per chi non viene da quella cultura per cui si scopre che "bruciare" è il verbo per indicare la traversata del Mediterraneo in cerca di fortuna, quasi una possibilità di risorgere dalle proprie ceneri. Se non bisogna commettere l'errore di rappresentare con omogeneità il mondo arabo, è vero che un elemento comune concerne la presenza diffusa di governi arcaici e autoritari e popoli sudditi. Questo stato di cose conduce a due comportamenti estremi e contrapposti: la desensibilizzazione alla speranza; la scappatoia dell'autosacrificio che in qualche timido tentativo tunisino ha sortito una repressione brutale da parte di un potere che sembrava inespugnabile.
Il martire è una nozione teologica ma è una parola utilizzata per tutte le vittime del politico ed è da notare che il martirio di Bouazizi è stato letto in modo antitetico a quello di un kamikaze. Nel mondo arabo, continua l‟autore. Il martire è strettamente legato alla testimonianza, come nella lingua latina il marturos è il testimone, “colui che testimonia la verità attraverso il proprio sacrificio”. In ogni caso il martire è nell'ambito della visione e il verbo sacrificare ha un'attinenza con il far luce. L'autore si spinge oltre e ricorda che Insaan, uomo in arabo ha la radice Ins che vuol dire pupilla. Su questo punto Benslama si sofferma sulla differenza tra martire classico che non desidera morire ma accetta la morte in nome della verità e il kamikaze che desidera la morte quale strumento per affermare la verità e simultaneamente sacrifica le vite altrui. Bouazizi rompe la tradizione con un suicidio che però è individuale: non è certamente un kamikaze ma è difficile definirlo martire a pieno titolo, iscrivendosi in un nuovo paradigma che è quello degli uomini con la schiena dritta contro i robot anche se per l'Islam il suicidio è un crimine grave. Da qui l'ambivalenza interpretativa: l'immolazione con il fuoco è una via di fuga per restare umani; è un peccato anche se l'atto estremo di una disperazione. Per questo il popolo ha proclamato la necessità della solidarietà che permette di evitare la violenza. Mi chiedo se ci sia anche un atto di auto coscienza e il dubbio di essere responsabili sempre in qualche modo degli altri. Bouazizi insomma è divenuto un martire della rivoluzione testimone di una verità immanente. Nel mondo occidentale lo definiremmo forse un eroe interiore perché non si sacrifica per la gloria ma non è un martire.

Nel quarto capitolo si guarda oltre la rivoluzione o meglio al di là della porta che la rivoluzione ha aperto tornando alla domanda iniziale: cos'è scattato ad un certo momento in modo così subitaneo. Un esperto del mondo arabo citato dall'autore, Olivier Roy, parla di mistero spiegabile con il contesto generazionale nel quale io ho riletto molta della nostra gioventù trentenne. E' la generazione Anni '70 del Novecento, non politicizzata, non ideologica, della libertà sessuale non conquistata; dell'Islam che non è più una soluzione e dei rapporti politici sostituiti da quelli sociali della rete Internet comunque mediati dal telefono; e ancora di un sentimento nazionale senza esaltazione nazionalista. Questa generazione ha chiesto libertà, giustizia e dignità. Secondo Roy la richiesta che è diventata perentoria fino alla rivolta è motivata da una concomitanza di eventi che si ripetono prima di ogni rivoluzione dal 1789 in avanti: aumento dell‟alfabetizzazione e livello culturale soprattutto femminile, conseguente diminuzione demografica. La Tunisia in tal senso è emblematica: da una media di 7 figli nel 1975 si è passati a 3,5 nel 2005 con una caduta ad oggi vicino a 2,1 figlio per donna. La Francia e gli Stati Uniti che hanno i tassi più alti di crescita del mondo definito tradizionalmente occidentale e avanzato sono a quota 2. Inoltre il tasso di scolarizzazione è dell'80%. Altra nota singolare l'interpretazione dell'Islam che in Tunisia è vissuto con la nostalgia di un Padre ideale, decapitato dalla storia (della sconfitta di Cartagine) che rende il paese un paese femmina per il mondo arabo. In effetti l'Islam tradotto in una forma di governo viene respinto perché giudicato eccessivamente ingerente nella vita personale. Questa tendenza è motivata anche dalla fondazione della Tunisia moderna ad opera di Habib Bourghiba che al di là di ogni giudizio puramente politico occorre riconoscere che la cosa pubblica è stata tenuta in conto almeno idealmente al di sopra di tutto, in particolare per quanto concerne sanità e istruzione, con attenzione particolare al mondo femminile.
Ecco perché la rivoluzione è stata relativamente facile nella fase destruens. Ora – ci mette in guardia l'autore – c'è la delicata fase della ricostruzione con il rischio ad esempio dell'islamizzazione della democrazia. Nello stesso tempo la Tunisia ha buoni spunti dai quali partire, ci avvisa Benslama, primo paese arabo ad abolire la schiavitù e poi la pena di morte, a disimpegnarsi dal paradigma identitario arabo per avvicinarsi all'idea dell'égalibérté.
L'ultima parte del libro, capitolo V, è dedicato a' Il gioco è aperto e l'autore, ricercatore attento della lingua, si sofferma questa volta sull'uso dell'espressione game over durante la rivoluzione. Evidentemente il tema del gioco introduce quello dei giocatori – soggetti alla pari, concorrenti e delle regole – e non del sovrano e dei sudditi, cambiando l'assetto della scena, che era la metafora dalla quale era partito il libro.
La conclusione mi ha colpita molto perché mi ha ricordato la conclusione del mio scritto “I giorni del gelsomino”, dal momento che Fethi Benslama evidenzia come tra la domanda di democrazia e l'istituzione della stessa ci sia un lungo cammino da percorrere, incerto e pieno di pericoli (a cominciare dal rischio arginato al momento dell'infiltrazione islamista) ma la speranza si riaccende e viene dalle donne che hanno detto no alla violenza nel corso di una manifestazione in Avenue Bourghiba costellata di fiaccole.


Soudain la Révolution!
Géopsycanalyse d’un soulèvement
di Fethi Benslama
Cérès EDITIONS
7 DT (circa 3 euro e 0.70)

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