lunedì 23 settembre 2013

“Vicolo del mortaio” di Nagib Mahfuz


Un grande affresco corale dove i personaggi sono esempi di una varia umanità spesso sofferente come in molti altri libri dell’egiziano più noto nell’ambito letterario, unico scrittore del mondo arabo ad aver ricevuto il Nobel. A dire il vero, per quanto scarsa sia la mia conoscenza letteraria di questo paese, posso azzardare al fatto che la coralità, città e vicoli densi di odori, popolazioni, rumori, affollati di storie sono una cifra caratteristica di questi scrittori, basti pensare a “Taxi” di Khaled al-Khamissi o a “Palazzo Jacoubian” di Ala al-Aswani. C’è sempre questa folla che stordisce il lettore, questo brusio di fondo, anche se in “Vicolo del mortaio”, quartiere popolare del Cairo fotografato durante la Seconda Guerra Mondiale, lo scrittore sapientemente mescola la riflessione, lo sguardo introspettivo sui personaggi, il monologo sussurrato, al dialogo e alle scene di vita quotidiana. Non si ricorda il libro tanto per i suoi personaggi che sono tipi più che persone ma per quell’ambiente che ci è restituito e nel quale sembra di poterci entrare dentro, come nella barberia del giovane che ama la sua triste strada tanto da voler trovare il suo amore in quello spazio. Si sente l’odore del vizio dello sfruttatore che procura mutilazioni definitive dietro compenso; il profumo del caffè mescolato ad altre spezie ed effluvi che non sono proprio profumi il cui proprietario, sempre in lite feroce con la moglie e il figlio che vuole fuggire da quella miseria, non riesce a rinunciare alla propria inclinazione omosessuale e al piacere dell’hashish, passando sempre più spesso le notti fuori casa. E poi c’è Hamida che vuole andarsene dalla tristezza di quel vicolo, che si vergogna della sua biancheria lacera, che grida la sua ribellione al ragazzo che l’ama, che se ne pente, forse ma non riesce a rinunciare al sogno di ricchezza del suo sfruttatore, presunto innamorato. Sente tutta l’umiliazione di essere stata ingannata, la rabbia soprattutto verso se stessa per essersi lasciata raggirare ma nello stesso tempo, questa sua involontaria e non scelta trasgressione diventa uno strumento di emancipazione, di lotta e di ribellione radicale per chi si rassegna a finire i propri giorni nel vicolo; a non sperare di poter cercare un altrove. C’è un’umanità lacera, che la miseria rende talora meschina e più raramente solidale, a volte vittima della violenza, di chi prova ad andare oltre, a cercare di vedere in faccia la realtà e viene ucciso, probabilmente dagli inglesi. Mahfuz racconta storie di povertà che hanno attraversato il mondo e non c’è particolare originalità né approfondimento nei ritratti quanto la capacità di trascinare dentro il quartiere come unico orizzonte del popolo il lettore, facendo soprattutto sentire i rumori e le voci. Per chi conosce un po’ le grandi capitali del mondo ‘terzo’, da Casablanca a Tunisi, questo vociare, muoversi senza direzione e nello stesso tempo oziare, non sarà nuovo.


“Vicolo del mortaio”
Nagib Mahfuz
Premio Nobel per la letteratura
Universale Economica Feltrinelli
8,00 euro

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