lunedì 2 aprile 2012

"Ore venti e trenta"

di Paola Musa

Un libro esile e tagliente, si insinua delicatamente ma con determinazione negli anfratti del nostro cuore, malinconico e asciutto come le sue liriche, brevi, incisive. Talora sposano la rima senza compiacimento; talora il verso è libero quasi prosa e la sua modernità televisiva rende la poesia visiva. L’aspetto iconopoietico è enfatizzato dalla scelta delle immagini in bianco e nero, scatti da cronista senza sedersi sull’estetica, il ritratto meditato, illustrazione di uno scorcio dello scritto, uno spunto, un modo per invitare a seguire l’immagine oltre le parole, quasi uscendo dalla lirica della pagina accanto. Sono piccoli quadri espositivi ma si avverte la vita. Si è dentro: dentro è chi scrive e necessariamente chi legge. Per me sono soprattutto l’immagine di periferie desolate ma non degradate, ammantate da una tristezza profonda proprio perché senza nome, senza violenza, lontano da clamori. Non c’è nulla di etimologicamente eccezionale nelle poesie di Paola Musa, solo la delicatezza di uno sguardo attento e realmente spettatore da cronista che restituisce lo scorrimento doloroso della vita quotidiana. Non c’è pena ma un’empatia che si avverte. Il bisogno di ricerca di verità, non della Verità ma della sincerità dello sguardo. La raccolta si apre con “Civiltà” ed è un prologo senza essere programmatico: ‘…ti chini sulle cose della vita/così velocemente da non averle mai viste’.
C’è il rammarico – a me sembra – del divorare la vita con un’informazione distratta che macina, racconta, senza cogliere senza potersi fermare. Guarda per captare quello che serve allo spettatore ma non vede nulla oltre la notizia. La parola è vuota, senza pietà verso l’incarnazione.
Segue “Ore venti e trenta” che dà il titolo alla raccolta dove si avverte la confusione del telegiornale della sera, una casualità scomposta, un affastellarsi che sta dietro e davanti il piccolo schermo perché siamo tutti attori e spettatori di quest’orgia parolaia e insulsa come in “Pausa pranzo”, che segue subito dopo.
Ho aperto a caso il libro e mai mi sarebbe potuto capitare una lirica più vicina al mio sentire, alla mia radice mediterranea, alla mia ricerca sul tema del viaggio e della contaminazione tra civiltà, sulla parola come ascolto. “Migrare” e “Islam”, una di seguito all’altro. Ho colto questa occasione nello spirito di Borges per il quale ogni incontro casuale è un appuntamento, come l’incontro con l’editrice e la poetessa di questa raccolta. Della prima di queste liriche cito il passaggio che più mi ha colpito: ‘Bastava poco per un altro luogo/perché l’origine è sempre nostalgia,/il non ritorno assurto a nuova meta’.
Credo nella poesia e nella sua modernità per la sua rapidità, per la capacità di travalicare contesti culturali seppur la sua parola preziosa comporta nella traduzione una riscrittura originale (in senso etimologico). Due sono gli elementi che in una società sempre più contaminata e fluida la rendono moderna, la musicalità e il lato cinematografico. Qui è certamente il secondo a prevalere e credo che dica anche che la poesia non è riservata alle grandi gesta epiche o a sentimenti speciali ma è un modo di guardare il condominio che ci sta di fronte in un’anonima periferia metropolitana.


Ore venti e trenta
di Paola Musa
Albeggi Edizioni
13,00 euro


http://www.saltinaria.it/recensioni/libri/14961-paola-musa-ore-venti-e-trenta.html

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