martedì 21 gennaio 2014

“VERSO ALTRI CIELI" Il guardare e il sentire oltre l’imprendibilità, di Floriana Porta

Sabato, 18 Gennaio 2014 Ilaria Guidantoni

Qualcosa sfugge
alle cose e al mondo
e si abbandona
a sentimenti estremi
chiudendosi in mondi separati
fluttuando fra piano e pianissimo.
Dalle parole alla musica
in libertà
verso altri cieli.

Un assaggio che assomiglia ad un haiku, così mi sono apparse le composizioni di questa giovane poetessa che mi ha colpita per il garbo con il quale si propone e con il quale fa conoscere la propria opera. Ho scoperto solo dopo che l’associazione non era un’impressione sbagliata e che lei stessa compone in questo stile giapponese che è ad un tempo di grande modernità, per la sua essenzialità, nitidezza e classico, ieratico. Così mi appare lo stile giapponese ed è forse per questo aspetto contraddittorio che ci conquista: la sua attenzione maniacale allo stile e una qualche freddezza, almeno in superficie, che assomiglia molto al nostro tempo. Il comporre di Floriana porta, assomiglia a questo sentire perché i suoi versi sono antichi, composti, preziosi nel linguaggio con qualche ricercatezza al limite dell’accademismo, il desiderio per la parola dimenticata, per la perfezione linguistica che si è persa; nello stesso tempo, le sue composizioni sono aperte: l’istantaneità dell’immagine rimanda all’incompiuto. Solo apparentemente sono un verseggiare dolce e sereno: dietro questa linearità senza orpelli c’è il senso della solitudine, l’infinito troppo grande per essere anche solo immaginato, a partire dal titolo, “Verso altri cieli”, una tensione che non si acquieta e che si espande.


Il cielo, che è un elemento molto presente, insieme al mare, nelle composizioni della poetessa torinese, si fa plurale per esaltare la sua immensità. L’anelito all’eterno infatti non è definito in modo unidirezionale ma naufraga nell’indeterminatezza che è il lato tragico ed intrigante della vita. Ci si affeziona ai versi di Floriana, poco a poco, mentre all’inizio si scorrono veloci le pagine che sembrano quadretti ben dipinti, dove si sente forse il mancare di una storia, il gusto per l’istantaneo e il bisogno d’altro che non viene; poi si gusta quell’indeterminatezza che apre un mondo ed è in quello stare in bilico, nella capacità di non scegliere mai una volta per tutte da che parte del crinale stare, l’abilità del suo sentire. 

La recensione integrale su Saltinaria.it

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