giovedì 8 marzo 2012

“Cosmetica del nemico”


“Cosmetica del nemico”

di Amélie Nothomb

Di questo libro si possono scrivere essenzialmente due recensioni, per chi ancora non l’ha letto e per chi l’ha già assaporato. Non si può correre il rischio di svelare il doppio intimo, nascosto, feroce e volutamente irriconoscibile che, comparendo all’ultimo, rivoluziona e manda per aria ogni aspettativa del lettore fino a quel momento. Il testo è esile e densissimo, un fattore che in un mondo che va veloce apprezzo molto e che raramente si trova. Sempre di più, mentre il nostro tempo si accorcia, i film si allungano e i libri sbrodolano pagine e pagine allentandone inevitabilmente la forza drammatica. La scrittura è lineare, direi vicina a gran parte dello stile francofono attuale, pur attingendo a qualche preziosismo, così sottile da non venire in primo piano. La raffinatezza è nel nascondere la citazione, la figura retorica, filtrandola appena con una grande capacità iconopoietica, come nel passaggio nel quale ci si chiede che cosa può succedere se si mette per troppo tempo la museruola al proprio nemico interiore. Ma ci sono anche piccole dissertazioni, condotte con il puntiglio ironico dell’alterco, come dove si dice che “la parola ‘testo’ viene dal latino texere, che significa ‘tessere’. Per cui il testo è prima di tutto una tessitura di parole. Interessante, vero?”
C’è nella Nothomb una cultura radicata, pur presentata con nonchalance, ironia; così come un’assimilazione del modo di procedere dell’ermeneutica per concatenazioni successive, stringenti logicamente quanto deliranti nel contenuto come in certi passaggi che riecheggiano Martin Heidegger e in generale la retorica classica, quindi l’arte dell’oratoria e forense. Sempre però domina un’impalpabile leggerezza condita con un sarcasmo a tratti greve, ma è solo dissimulazione. Testo raccolto in un dialogo serrato, che non allenta la morsa, spostando costantemente il punto di equilibro che il lettore faticosamente si conquista. Non appena si pensa di aver capito cosa si nasconde dietro, la scrittrice ci costringe a metterci in discussione. Lo schema e la finezza psicologica ricordano alcuni testi di Eric-Emmanuel Schmitt (penso a “Variazioni enigmatiche”), anche per l’attenzione al punto di vista maschile. Incredibile pensare che sia scritto da una donna. L’asciuttezza del fraseggio, la capacità di trasferirsi dall’altra parte e la penetrazione del labirinto mentale al maschile, farebbero presupporre uno scrittore. In un susseguirsi di colpi di scena rapidi ed in precario equilibrio, tutti interiori, c’è un crescendo, che approda alla concentrazione sull’io e sulla sua doppiezza. Si ha l’impressione di partire da una scena dilatata, un aeroporto, con ampi spazi e molte persone; gradualmente l’obiettivo si restringe in un dialogo a due e si viene trascinati per cerchi concentrici in un gorgo:gli interventi dei personaggi esterni si rarefanno, quindi anche i personaggi raccontati nel dialogo gradualmente scompaiono e tutto si proietta in una dimensione di scontro solipsistico e violento. Se dovessi rappresentarlo con un’immagine di danza, dall’ondeggiare in un duello che si avvita su se stesso in una spirale; si finisce in un rimbalzare contro uno specchio. Le immagini finali sono di una violenza inaudita: e non a caso il finale è contro un muro. C’è sempre un momento di resa dei conti nella vita al quale non si può più sfuggire.
Trovo nello scritto della Nothomb anche un’eco di certa letteratura giapponese dove ad un certo punto il confine tra realtà e immaginazione sfuma, in questo caso senza scivolare nel fantastico ed onirico come in alcune pagine di Murakami. Non è un andare al di là; piuttosto uno scendere dentro. Chissà se la sua nascita a Kobe, in Giappone, l’abbia in qualche modo influenzata.
La prima parte del libro, fa sorridere e irrita. Non solo si avverte il disturbo del protagonista per il viaggiatore inopportuno che bolla come ‘pazzo’, perché incomprensibile; ci si sente disorientati senza capire se veramente si è dalla parte del protagonista. Qual è poi il protagonista in un dialogo speculare? Gradualmente, nel precedere del climax, non si è più sicuri di stare dalla parte giusta e si procede a tentoni verso la rivelazione.
L’intreccio è geniale; molto raffinato il titolo nell’uso del termine ‘cosmesi’ che nel mondo classico è soprattutto armonia, ordine; diventando poi arte del camuffamento e, in questo caso, del paradosso dell’ordine sovvertito.
Recentemente è stato messo in scena al Nuovo Teatro Colosseo e alla Cometa Off di Roma con Giuseppe Bisogno e la regia di Martino D’Amico.
A breve su www.saltinaria.it, la conversazione con Giuseppe Bisogno, interprete dell’”altro”, Textor Texel.


“Cosmetica del nemico”
di Amélie Nothomb
Voland
7,00 euro

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